AI, digitale e umanizzazione la sfida della sanità è farle convergere

«L’intelligenza artificiale e le relazioni umane non sono due poli opposti: sfida è liberare tempo e risorse da dedicare alla relazione con il paziente». Cosa è emerso dal convegno promosso dall’AOU Meyer
«L’intelligenza artificiale e le relazioni umane non sono due poli opposti: sfida è liberare tempo e risorse da dedicare alla relazione con il paziente». Cosa è emerso dal convegno promosso dall’AOU Meyer

Promuovere la collaborazione tra esperti di tecnologie digitali e professionisti sanitari, valorizzando un approccio multidisciplinare e rafforzando la cooperazione tra i diversi attori del sistema. Il tutto con l’obiettivo di garantire che l’innovazione tecnologica contribuisca concretamente a migliorare la qualità delle cure, senza ridurre lo spazio per la relazione umana. Il convegno “Innovazione Digitale e Umanizzazione delle Cure. Sinergie possibili tra tecnologia e relazioni nell’era dell’intelligenza artificiale”, promosso dal Dipartimento delle Professioni Sanitarie AOU Meyer IRCCS, nasce proprio per stimolare una riflessione su come bilanciare il progresso digitale con l’empatia e la comunicazione tra operatori sanitari e pazienti.

«Il nostro sforzo è non solo unire intelligenza artificiale e dignità umana, ma far sì che la prima sia al servizio della seconda» sottolinea Mirco Gregorini, Direttore SOC Professioni Infermieristiche e Ostetriche e Direttore del Dipartimento Professioni Sanitarie dell’AOU Meyer IRCCS.

Due mondi solo apparentemente in contrasto

«L’intelligenza artificiale e le relazioni umane sono due mondi che spesso vengono percepiti come opposti. Da un lato l’innovazione tecnologica, con tutte le nuove soluzioni digitali che stanno entrando in maniera pervasiva nella società e nella sanità italiana, dall’altro la necessità di sviluppare e rafforzare le competenze relazionali, fondamentali per garantire l’umanizzazione delle cure. In realtà, non si tratta di due poli in contrasto: la sfida è capire come le tecnologie possano liberare tempo e risorse da dedicare alla relazione con il paziente» dice Daniele De Feo, Dirigente delle Professioni Sanitarie – Responsabile SOS Assistenza Tecnica Sanitaria – Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer.

«È proprio su questo – prosegue – che si concentra il congresso, articolato in sessioni plenarie e incontri con istituzioni, ordini professionali e rappresentanti delle diverse professioni sanitarie. C’è quindi una duplice valenza: da un lato costruire politiche istituzionali capaci di accompagnare l’innovazione, dall’altro aprire scenari concreti che permettano ai professionisti di lavorare meglio e con più spazio per la relazione. Il progresso tecnologico non si può fermare: la vera sfida è normalizzarlo, renderlo parte integrante del lavoro quotidiano dei professionisti sanitari. Solo in questo modo può diventare uno strumento al servizio della cura e non un ostacolo».

Mirco Gregorini

Restituire il “tempo della relazione”

L’intelligenza artificiale non ridurrà il contatto umano. Anzi. «Credo che la vera sfida della tecnologia e in particolare dell’intelligenza artificiale – precisa Gregorini – sia restituirci il tempo della relazione, quello che negli anni abbiamo progressivamente perso. Oggi vediamo tanti professionisti sanitari (medici, infermieri, fisioterapisti) passare gran parte della giornata davanti a un computer, impegnati a compilare cartelle, verbali, referti e registrazioni di ogni tipo. Tutto questo toglie spazio prezioso non solo al rapporto con il paziente e la sua famiglia, ma anche alla relazione tra colleghi. L’intelligenza artificiale può davvero cambiare lo scenario: immagino un sistema che, mentre parlo con il paziente, registra e trascrive automaticamente la conversazione clinica, riducendo al minimo la necessità di compilare manualmente i documenti. In questo modo non eliminiamo la tracciabilità, che resta fondamentale, ma la rendiamo più efficiente e meno invasiva».

«Il guadagno sarebbe enorme, perché tutto quel tempo sottratto alla burocrazia potremmo reinvestirlo nella cura, nell’ascolto e nella presenza accanto alle persone. Per me il vero valore della tecnologia è proprio questo: non sostituire l’essere umano, ma liberarlo da incombenze che oggi rallentano e inaridiscono la professione. Se ben utilizzata, ci consente di tornare a essere più vicini, più empatici e più presenti, che è il cuore della sanità».

Gli ostacoli da superare

«Quando parliamo di intelligenza artificiale in sanità – prosegue il Direttore – dobbiamo tenere conto di alcuni limiti strutturali. Prima di tutto, l’Italia è un Paese lungo e complesso, e non è pensabile che tutte le tecnologie avanzate siano disponibili ovunque con lo stesso livello di qualità: come già accade in altri ambiti, ci saranno centri di eccellenza, in grado di sviluppare e applicare le soluzioni più avanzate, e livelli minimi di prestazioni garantiti a tutti i cittadini. L’equità non significa che tutto debba essere identico dappertutto, ma che a ciascuno sia assicurato un livello essenziale, lasciando poi a poli di riferimento specializzati la gestione delle tecnologie più sofisticate».

«Un secondo limite – continua – riguarda la normativa. La tecnologia evolve molto più velocemente delle leggi, e questo crea inevitabilmente incertezza. I professionisti temono di esporsi a rischi perché mancano ancora regole chiare. A questo si aggiunge il cosiddetto digital divide, che non riguarda solo i pazienti ma anche gli operatori sanitari: non tutti sono pronti a cambiare abitudini consolidate. Ciò è dovuto anche al fatto che l’adozione delle nuove tecnologie spesso richiede un ripensamento profondo delle routine quotidiane. In questo senso, la competenza più importante per il futuro non sarà tanto quella tecnica – che oggi ha un ciclo di vita molto breve, 4-5 anni – quanto la capacità di imparare continuamente, aggiornarsi e mantenere un approccio costruttivo verso l’innovazione».

La relazione umana per garantire fiducia

Infine, resta il nodo della responsabilità. Se un sistema di intelligenza artificiale fornisce un supporto diagnostico errato, chi ne risponde? «La responsabilità rimane sempre in capo al professionista. L’intelligenza artificiale deve essere vista come uno strumento di supporto, una sorta di “second opinion” che ti offre milioni di punti di vista in tempo reale. Ma, come accade già con altri strumenti, la decisione finale deve rimanere umana. L’intelligenza artificiale può rappresentare un grande aiuto, ma la responsabilità clinica e la presa in carico – conclude Gregorini – restano sempre nelle mani del professionista sanitario. È una condizione indispensabile per garantire sicurezza, fiducia e qualità della cura».

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di Bernardino Ziccardi

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