Antibiotico-resistenza, un’infezione su sei è resistente agli antibiotici. «Serve una strategia globale»

Secondo l’ultimo report OMS, la resistenza è aumentata in oltre il 40% degli antibiotici monitorati. Il microbiologo Paolo Fazii: «Urgono controlli, cultura e formazione, anche tra i cittadini»
Paolo Fazii

L’antibiotico-resistenza non è più solo una minaccia, ma una realtà. Secondo l’ultimo report Global Antimicrobial Resistance and Use Surveillance System dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), infatti, un’infezione su sei nel mondo è ormai resistente agli antibiotici. Tra il 2018 e il 2023, la resistenza è aumentata in oltre il 40% degli antibiotici monitorati, con incrementi annui fino al 15%. I dati del Report, provenienti da oltre 100 Paesi, mettono quindi in guardia contro la crescente minaccia che la resistenza agli antibiotici essenziali rappresenta per la salute globale.

Un fenomeno globale che nasce anche dall’ambiente

«L’antibiotico-resistenza è un problema planetario che non riguarda solo l’uomo, ma anche gli animali e l’ambiente» spiega il Dott. Paolo Fazii, direttore dell’Unità Operativa Complessa Microbiologia e Virologia dell’Asl Pescara. «Gli antibiotici utilizzati in zootecnica o nelle cure veterinarie finiscono nei liquami, che diventano veri e proprio laboratori di scambio genetico tra batteri».

Nei sistemi di raccolta delle acque reflue i microrganismi si scambiano “elementi genetici mobili”, frammenti di DNA che contengono geni di resistenza, che possono essere trasferiti da una specie all’altra. «Così nascono i superbatteri» precisa Fazii. «Anche fattori apparentemente secondari, come la presenza di metalli o sostanza biocide, possono favorire la selezione di batteri resistenti. Siamo immersi in un mondo dove il rischio che un microrganismo si modifichi e diventi resistente è altissimo. Per questo serve un approccio globale che segua il principio One Health: la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente è una sola».

L’Italia tra i Paesi più colpiti

Come riportato dall’OMS, l’Italia, insieme alla Grecia, registra uno dei tassi più alti infezioni resistenti in Europa. «È certamente un dato preoccupante – commenta Fazii – che riflette un uso smodato e spesso inappropriato degli antibiotici, sia in ambito clinico che nella popolazione in generale».

Il microbiologo spiega che «la differenza con i Paesi del Nord Europa, risultati meno a rischio, sta nei protocolli di sorveglianza. Quando un paziente viene ricoverato, lì si eseguono sistematicamente tamponi di sorveglianza per identificare eventuali germi multiresistenti. Qui in Italia, invece, queste procedure non sono ancora uniformi: in alcune regioni si fanno, in altre no, al Sud molto meno. Oltre ai controlli – prosegue – serve una maggiore consapevolezza collettiva. C’è un problema culturale di fondo. Troppo spesso gli antibiotici vengono assunti senza reale necessità, magari su indicazione non medica. E questo alimenta il circolo vizioso della resistenza».

Le armi contro la resistenza

Il dottor Fazii ricorda come negli ultimi decenni le nuove molecole antibiotiche siano diventate sempre più rare. «Le aziende farmaceutiche investono meno su antibiotici, che curano infezioni acute e garantiscono profitti limitati, preferendo farmaci cronici o oncologici». Per questo, secondo il microbiologo, la lotta alla resistenza deve puntare su politiche pubbliche, sorveglianza e formazione. «Servono piani nazionali concreti, come il PNCAR, fondi per la ricerca e una rete capillare di controllo. Ma anche un’azione educativa, a partire dalle scuole e dagli ospedali».

Infine, Paolo Fazii lancia un appello ai media: «Un’informazione chiara e corretta può fare la differenza. I giornalisti hanno un ruolo fondamentale nel tradurre i dati tecnici in messaggi comprensibili e nel favorire comportamenti sociali più responsabili. Solo così possiamo colmare la distanza tra la scienza e i cittadini».

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di Bernardino Ziccardi
17 Novembre, 2025

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