Medicina di precisione e ricerca traslazionale: la nuova frontiera della pediatria

Moschese (SIRP): «Dobbiamo abbandonare la dicotomia tra clinico e ricercatore: servono collaborazione e cultura scientifica condivisa»
Moschese (SIRP): «Dobbiamo abbandonare la dicotomia tra clinico e ricercatore: servono collaborazione e cultura scientifica condivisa»

In un contesto in cui la ricerca pediatrica continua a essere penalizzata da scarsi finanziamenti e da un sistema burocratico complesso, l’Italia mantiene comunque livelli di eccellenza scientifica riconosciuti a livello internazionale. Lo evidenziano la Prof.ssa Viviana Moschese, presidente della Società Italiana di Ricerca Pediatrica (SIRP), e il Prof. Claudio Pignata, suo predecessore, che inoltre sottolineano come la medicina di precisione e la ricerca traslazionale rappresentino oggi le due direttrici fondamentali del futuro della pediatria. Entrambi invocano un cambio di paradigma culturale e politico: investire nella salute infantile significa investire nel futuro della società, ma servono più fondi, meno burocrazia e un maggiore riconoscimento per i medici ricercatori che portano l’innovazione dal laboratorio al letto del paziente.

Professoressa Moschese, qual è il valore della ricerca pediatrica?

«Riteniamo che la ricerca pediatrica abbia un valore aggiunto rispetto alla ricerca scientifica condotta negli adulti. Infatti, non solo valorizza la salute dei neonati, bambini e adolescenti, ma ha un ruolo fondamentale sulla salute dell’adulto e sulla salute di tutta la comunità. Di conseguenza, ha delle ripercussioni notevoli sulla salute di tutta la comunità. La ricerca pediatrica consente altresì che si possa vivere più a lungo e con una migliore qualità di vita».

«In più, la ricerca pediatrica ha un impatto notevolissimo sul sistema sanitario nazionale, per la sua rilevanza clinica. I due terzi delle ricerche che vengono condotte in Italia consentono l’implementazione di linee guida sia a fini diagnostici sia terapeutici che sono in continuo aggiornamento con significativo beneficio dei pazienti».

Professor Pignata, ci può citare qualche esempio delle ultime scoperte nel campo della ricerca pediatrica?

«Negli ultimi 10 anni ci sono stati dei notevoli avanzamenti nella conoscenza delle malattie. Oggi, infatti, non si parla più di medicina, ma di medicina di precisione: questo implica che per la caratterizzazione della malattia del singolo paziente si metta in luce il meccanismo che determina quella malattia. Molto spesso tale meccanismo è del tutto specifico, particolare rispetto alla sua categoria. Di fatto, tutto ciò significa trasferire al letto del malato quella che è la ricerca scientifica di base: è un processo chiamato ricerca traslazionale. Essa permette di caratterizzare al meglio la patologia e, successivamente, di indirizzare le terapie in maniera che agiscano direttamente sul meccanismo alterato. Questo è, l’avanzamento più considerevole che è avvenuto nell’ultimo decennio».

«Uno dei degli esempi paradigmatici della trasformazione della medicina è rappresentato dalle scoperte fatte nel settore delle immunodeficienze congenite. Questo è un settore che vent’anni fa non comprendeva nemmeno una decina di patologie: oggi ne conosciamo oltre 500. Il motivo di questo risultato è proprio il trasferimento delle conoscenze della ricerca scientifica che ha permesso di identificare nuove patologie e di mettere in pratica le cosiddette terapie molecolari, che, nel caso di malattie genetiche, consentono talvolta addirittura di curare la malattia definitivamente».

Prof. Claudio Pignata

Quali sono le azioni di governance che il legislatore dovrebbe mettere in atto per contribuire allo slancio della ricerca pediatrica invece di soffocarlo?

Pignata: «Io credo che l’innovazione più importante, che dovrà essere affrontata in futuro insieme agli amministratori locali, sia semplicemente quella di riconvertire le spese. Bisogna tagliare profondamente su alcune spese inappropriate e investire di più in quelle che sono le spese che apportano un miglioramento delle cure reale. Non è semplice da fare perché non esiste la competenza per capire quanto sia importante la ricerca traslazionale per la qualità delle cure e la sostenibilità dei bilanci. Un paziente senza una diagnosi precisa ha necessità di un’infinità di risorse, continui ricoveri ospedalieri e indagini in eccesso. Una diagnosi precisa e una terapia mirata consentono, seppur con una spesa maggiore nella fase iniziale, un sostanziale recupero di denaro durante il prosieguo delle cure».

«Naturalmente esistono molte criticità legate al trasferimento delle nuove tecnologie e conoscenze al malato. Queste sono legate soprattutto ai costi molto alti delle ultime terapie e al cambiamento organizzativo che il nuovo approccio metodologico comporta. Oggi è necessario investire molto sia in ricerca che nel trasferimento delle conoscenze al letto dal malato e naturalmente il budget di cui dispone la sanità è molto limitato».

Moschese: «Purtroppo abbiamo delle grosse limitazioni di carattere finanziario, regolatorio, etico, istituzionale e anche di carriera che a volte pongono in netto svantaggio la ricerca pediatrica rispetto a quella dell’adulto. Abbiamo organizzato per il prossimo 7 novembre una tavola rotonda, che si avvale di esperti con competenze trasversali, proprio per porre l’accento sulle varie problematiche che necessitano di essere affrontate. Sappiamo che investire nella salute infantile vuol dire investire nel futuro della società civile e, nonostante ciò, i finanziamenti rimangono scarsi rispetto a quelli dell’Unione Europea, se pure siano in continuo ma lieve incremento».

Qual è l’indirizzo verso cui si sta muovendo attualmente la ricerca pediatrica?

Moschese: «L’indirizzo rimane quello che ha introdotto il Prof. Pignata: medicina di precisione e ricerca traslazionale. Pignata, che è stato il precedente presidente della SIRP, ha apportato un cambiamento orientandosi proprio in questa direzione. Nell’ambito della SIRP, infatti, cerchiamo di porre sotto i riflettori queste tematiche che sono attuali adesso ma che nel futuro diventeranno sempre più importanti».

Pignata: «Medicina di precisione significa soprattutto cercare di risolvere il problema di quei pazienti che non hanno una diagnosi. Una diagnosi legata esclusivamente al sintomo ma non al meccanismo di malattia non consente una terapia ottimale. Per fare questo oggi abbiamo la possibilità di utilizzare anche le cosiddette scienze omiche. Sono un insieme molto numeroso di variabili che vengono prese dai vari domini, come genetica, genomica, epigenetica, metabolomica e così via, per caratterizzare al meglio il paziente. Naturalmente ognuna di queste tecniche ha dei costi e richiede tecnologie avanzate, personale con expertise specifica e soprattutto un’elaborazione del risultato che sia critica».

«A ciò si collega il problema dell’utilizzo di queste variabili da parte dell’AI. È chiaro che, se abbiamo un numero cospicuo di variabili, possiamo caratterizzare quel paziente in una maniera molto puntuale, ma è necessario esercitare senso critico nella valutazione della rilevanza clinica della singola variante biologica. La figura del clinico pediatra è così importante proprio perché valuta in maniera critica il dato che il ricercatore ha fatto uscire dal laboratorio».

La Prof.ssa Viviana Moschese

Moschese: «Uno degli obiettivi che ci proponiamo come SIRP è proprio quello di incoraggiare i giovani ricercatori. Non hanno una vita facile, perché l’accesso ai fondi per poter svolgere queste ricerche è complesso. Bisognerebbe semplificare, deburocratizzare, attuare tutta una serie di processi che prevedano dei profondi cambiamenti anche relativi ai sistemi di valutazione della ricerca pediatrica. Le attuali metriche, infatti, a volte portano ad una grande penalizzazione dei ricercatori. È necessario adattarle alla ricerca pediatrica e porre in atto incentivi maggiori affinché i giovani ricercatori siano stimolati a portare avanti le loro ricerche. In pratica c’è un’equazione: là dove c’è investimento nella ricerca e nella innovazione, che poi sono fattori indiretti del benessere di una società, si ha un maggior tasso di crescita, una maggiore qualità di vita e uno sviluppo sostenibile e di lunga durata».

Il PNRR non è stato utile a riguardo?

Pignata: «Il PNRR ha fornito ed è stato uno strumento potente di innovazione, però vi è una criticità assoluta che lo riguarda, ovvero che i ricercatori che sono stati assunti a tempo determinato con i fondi del PNRR non verranno stabilizzati. In questo modo stiamo mettendo a repentaglio tutto quello che è stato costruito finora per migliorare la qualità delle cure e della ricerca. Con il rischio di costringere il ricercatore a cambiare strada. Inizialmente il PNRR doveva avere un effetto duraturo, capace di generare innovazione e rendere persistenti nel tempo i risultati ottenuti. Questo purtroppo non succede sempre e si finisce con l’identificare il finanziamento del PNRR con un singolo progetto di ricerca che, seppur determinando grandi risultati ma limitato nel tempo, rischia di non avere un impatto sostanziale sul futuro».

Moschese: «Doveva essere l’avvio di un percorso in continuum per il raggiungimento degli obiettivi, ma la sua applicazione sembra limitata nel tempo se non si trovano degli strumenti anche legislativi che consentano a questi giovani ricercatori impegnati in progetti PNRR di continuare una carriera deputata alla ricerca scientifica».

E la ricerca pediatrica nel nostro paese, che si distingue per una piramide demografica invertita, come si pone nel confronto con l’estero?

Pignata: «Si pone benissimo. Abbiamo indagato la produzione scientifica dei ricercatori italiani pediatrici e le devo dire che l’Italia è vittima di un paradosso. Ovvero: nonostante i finanziamenti siano assolutamente esigui, la produzione scientifica è di primissimo livello. Tant’è che in alcune branche, come emato-oncologia, immunologia ed endocrinologia, sono molti i ricercatori italiani che si piazzano nelle prime posizioni delle piattaforme di valutazione della qualità del ricercatore come ad esempio Medscape. Un altro sistema è quello della valutazione scientifica che si basa soprattutto sulla citazione delle varie pubblicazioni. Anche in questo caso noi abbiamo molti pediatri fra i migliori al mondo, cioè che sono fra i più citati. C’è quindi un discostamento tra quelle che sono le capacità del comparto della ricerca pediatrica italiana e le risorse effettivamente messe a loro disposizione».

Qual è il livello della formazione universitaria e specialistica sul settore pediatrico in Italia?

Pignata: «In Italia il livello della formazione è molto alto e infatti la qualità delle cure per il bambino non è da meno. C’è poi molta attenzione alla prevenzione: si parla molto dei primi 1000 giorni di vita, ciò significa gettare le basi per un futuro di salute. Noi abbiamo un percorso lungo rispetto gli altri paesi e la qualità dello stesso è di primo livello. C’è, tuttavia, la carenza per cui non tutte le scuole di specializzazione valorizzano la formazione del pediatra ricercatore, il cosiddetto physician scientist. Oggi esiste anche la possibilità di fare, almeno per una parte del percorso di formazione, un percorso congiunto nell’ambito della specializzazione con Master o dottorato. Questo facilita l’acquisizione di strumenti di conoscenza propri della ricerca scientifica».

«Molto spesso il pediatra dopo quei cinque anni di formazione ha un’ottima competenza clinica pediatrica, ma pecca in quelle di tipo scientifico. La SIRP mira a farle convergere e a formare questi medici ricercatori di cui si ha enorme bisogno, anche se è una strada in salita. Lo è anche perché il giovane che si avvia a diventare un ricercatore clinico ha davanti a sè un percorso molto più complesso che richiede maggiore dedizione rispetto a quello necessario per padroneggiare la pediatria clinica e basta».

In qualità di Presidente e past President della SIRP, avete un appello comune da lanciare?

Pignata: «Il decisore istituzionale deve avere maggiore attenzione alla ricerca pediatrica: È necessario che abbia un’allocazione protetta di fondi. Un ricercatore pediatrico che si occupa di immunologia nel momento in cui compete con il ricercatore di base per acquisire dei fondi è chiaramente svantaggiato. Questo, ovviamente, non riguarda solo l’immunologia clinica, ma riguarda tutti i settori specialistici della pediatria».

«Il secondo punto è conferire alla ricerca traslazionale maggiore valenza dal punto di vista clinico: il medico che fa ricerca è un medico migliore. Questa legge vale in tutti gli ambiti della clinica pediatrica: ospedaliera, universitaria e territoriale. In particolare, la medicina territoriale gioverebbe molto di un’attività pediatrica sperimentale. Allo stesso tempo al pediatra che ha svolto questa mansione andrebbe riconosciuto il suo impegno, in modo formale, incluso quello economico. Il tutto senza dimenticare, come detto poc’anzi, la formazione del pediatra ricercatore».

Moschese: «Attualmente abbiamo una marea di ostacoli burocratici: le approvazioni dei protocolli di ricerca da parte dei comitati etici sono estremamente complesse. È così per rispettare la privacy e la sicurezza dei pazienti ovviamente, però abbiamo anche la necessità di utilizzare le risorse nel minor tempo possibile. Queste procedure rappresentano spesso un’importante barriera per lo sviluppo delle ricerche».

«Come SIRP ci battiamo affinché cambi la cultura riguardante la ricerca pediatrica. Dobbiamo abbandonare la dicotomia tra il clinico e il ricercatore, ma lavorare insieme, con il coinvolgimento di tutti i portatori d’interesse. Ad esempio, industrie e organizzazioni non governative devono necessariamente accompagnarci costituendo metà dei finanziamenti alla ricerca. Deve esserci una maggiore apertura da parte di chi lavora sul territorio verso la ricerca. Stiamo cercando di supportarla attraverso una serie di interventi e di promozione di studi che coinvolgono non solo i centri accademici, ma anche quelli ospedalieri e la medicina territoriale».

Pignata: «Fino a pochi anni fa il mondo della ricerca scientifica veniva considerato totalmente avulso dalla realtà clinica. Erano due mondi completamente separati, talvolta considerati addirittura in conflitto l’uno con l’altro. In realtà oggi noi sappiamo che applicare la ricerca scientifica alla clinica significa proporre una metodologia di lavoro applicabile a tutti gli ambiti. Cambiare questa visione è una delle finalità che si è proposta la SIRP. Si tratta di un compito abbastanza arduo, anche tenuto conto di un vulnus che c’è nella formazione italiana e cioè che la figura del medico ricercatore, è poco valorizzata».

Viviana Moschese e Claudio Pignata sono relatori della tavola rotonda Ricerca pediatrica: come sostenere i nuovi orizzonti per la salute dei bambini, che si terrà oggi alle 10:30 a Welfair, la fiera del fare Sanità.

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di Arrigo Bellelli

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