Dal 2026 un quarto dei Pronto Soccorso opererà con metà del personale previsto

Un quadro critico, quello designato dall’indagine SIMEU: nel 2026 coperture sotto soglia per il 25% dei Pronto Soccorso italiani. «Le soluzioni tampone non basteranno. Necessarie riforme stabili» avvertono gli esperti
Un quadro critico, quello designato dall’indagine SIMEU: nel 2026 coperture sotto soglia per il 25% dei Pronto Soccorso italiani. «Le soluzioni tampone non basteranno. Necessarie riforme stabili» avvertono gli esperti

Dal prossimo gennaio un quarto dei Pronto Soccorso italiani rischia di operare con meno della metà del personale medico previsto. Questo quanto emerge dagli ultimi dati presentati dalla SIMEU (Società Italiana Medicina d’Emergenza-Urgenza) durante l’Accademia dei Direttori SIMEU. L’indagine, condotta su un campione di 50 strutture rappresentative (il 12% dei pronto soccorso nazionali) ha permesso di prevedere che il 39% delle strutture lavorerà con una copertura compresa tra il 50% e il 75%, mentre solo il 31% supererà il 75%. Una percentuale delle strutture, seppur piccola (4%), avrà invece una situazione decisamente drammatica, con appena il 25% del personale previsto operativo.

Poco personale e molto stress

Seppur in lieve miglioramento rispetto agli anni precedenti, i dati confermano come la crisi del personale medico sia un argomento di grande attualità, che, secondo il Presidente Nazionale SIMEU Alessandro Ricciardi, «continua a rappresentare un elemento fortemente critico nel sistema dell’emergenza-urgenza».

Dietro tale carenza si nascondono principalmente cause strutturali, come scadenze di contratti con società di servizi, scadenze di contratti speciali attivati durante la pandemia, oltre che la difficoltà di reclutare nuovi medici nell’ambito dell’urgenza-emergenza. A ciò si aggiungono le dimissioni volontarie, conseguenti alla spesso elevata pressione lavorativa, il pensionamento degli operatori e la mancanza di incentivi per la permanenza nei reparti di urgenza. Tutti fattori che, insieme, contribuiscono all’impoverimento del personale disponibile.

Più attesa e meno qualità

La conseguenza è presto detta. Molti pronto soccorso opereranno con organico ridotto, riducendo la capacità di risposta nei momenti di picco e aumentando i tempi di attesa, con ricadute anche sulla sicurezza e la qualità delle cure. Il rischio, infatti, è che ai pazienti con codici meno gravi, ma non per questo trascurabili, venga ritardato l’accesso alle cure. In tale scenario, anche le emergenze reali, da codice rosso, come infarti o traumi gravi, rischiano di subire ritardi, con un probabile aggravamento delle condizioni cliniche dei pazienti. Ma il danno non riguarda solo i pazienti: il sistema potrebbe diventare sempre meno resiliente e avere meno margini di adattamento a situazioni di forte pressione.

Servono riforme stabili, non toppe momentanee

Come ricorda lo stesso Riccardi, «si conferma sicuramente la necessità di ricorrere a soluzioni tampone, quali prestazioni aggiuntive e reclutamento di professionisti con modalità contrattuali esterne alla dipendenza dal Sistema Sanitario Nazionale». Ma ciò potrebbe non bastare.

Serve, a detta degli esperti, un rilancio dei professionisti di emergenza, che passa dalle assunzioni stabili, dagli incentivi per la permanenza, dalla riduzione dello stress lavorativo e dal miglioramento delle condizioni di lavoro. Allo stesso tempo, bisogna potenziare la rete territoriale: la telemedicina (come il triage telefonico) è un percorso alternativo da attivare necessariamente, così da avere opzioni di gestione emergenziale che alleggeriscano il Pronto Soccorso.

Il 2026, dunque, rischia di essere un anno di crisi profonda per l’emergenza-urgenza italiana. Se non si interviene in fretta, il pronto soccorso, avvertono gli esperti, da area di cura, rischia di diventare un’area di fragilità del Servizio Sanitario Nazionale.

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di Bernardino Ziccardi

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