Screening per tutti: un percorso da rendere davvero accessibile

Secondo il Rapporto FAVO accessibilità limitata e barriere informative frenano la partecipazione agli screening delle persone con disabilità
Secondo il Rapporto FAVO accessibilità limitata e barriere informative frenano la partecipazione agli screening delle persone con disabilità

Il Rapporto FAVO, stilato dall’Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, è l’appuntamento annuale che racconta come viene garantita l’assistenza alle persone con tumore in Italia. Presenta dati ufficiali, analisi cliniche e criticità del sistema, affrontando temi come prevenzione, diagnosi, accesso ai trattamenti, terapie avanzate, servizi territoriali e diritti sociali. Propone anche confronti tra territori, letture nazionali e indicazioni operative. È uno strumento di rappresentanza che mette al centro la voce dei pazienti, delle associazioni e degli operatori. Il suo scopo è promuovere un’assistenza oncologica più equa, di qualità e continua in tutto il Paese.

Barriere e criticità nell’accesso agli screening oncologici

Il Rapporto mette in evidenza come l’accesso agli screening oncologici, fondamentali per la diagnosi precoce, risulti fortemente limitato per le persone con disabilità. Le prime barriere riguardano la comunicazione: gli inviti agli screening, inviati tramite lettera cartacea, non sono disponibili in formati accessibili (audio, braille, LIS), ostacolando la comprensione dei messaggi da parte di persone con disabilità sensoriali. Integrare l’informazione sanitaria sulle invalidità nei sistemi di convocazione è difficile per ragioni di privacy, rendendo complicato modulare gli inviti in modo personalizzato.

Seguono importanti barriere fisiche e logistiche: molte strutture non sono adeguate ad accogliere persone con disabilità motorie, cognitive o sensoriali. Mancano rampe, ascensori, spazi adeguati per sedie a rotelle, o strumenti di supporto come dispositivi di comunicazione e interpreti per persone sorde. A queste si aggiungono ostacoli psicologici e sensoriali, che rendono per alcune persone l’ambiente sanitario fonte di stress, confusione o sovraccarico. Diventa quindi determinante la formazione del personale sanitario, chiamato a comprendere e gestire con competenza i bisogni specifici dei pazienti con disabilità. Infine, l’assenza di un approccio inclusivo e personalizzato contribuisce alla bassa adesione agli screening e all’aumento delle diagnosi tardive, con conseguenze cliniche più gravi.

Modelli organizzativi, dati territoriali e iniziative dedicate

I dati evidenziano come, in assenza di sistemi informativi che includano dati sulle disabilità, sia fondamentale il coinvolgimento delle associazioni di pazienti e caregiver per intercettare i cittadini più fragili. Nel territorio della ASL Roma 3, ad esempio, su circa 1.500 persone con disabilità solo il 5% aderisce agli screening, un dato che si mira ad alzare al 50%. Per migliorare l’accesso, nel 2024 è stato attivato il Progetto TOBIA presso l’Ospedale Grassi di Ostia, dedicato a persone con disabilità intellettiva o relazionale grave. Il progetto offre percorsi diagnostico-terapeutici personalizzati e garantisce la presenza di caregiver durante le procedure. L’obiettivo è anche quello di creare agende dedicate e “free access” per mammografie, PAP/HPV test e screening del colon-retto, permettendo l’esecuzione degli esami nello stesso luogo e nella stessa giornata.

Ulteriori interventi includono percorsi di screening riservati agli ospiti del CEM e misure di agevolazione per i caregiver, che spesso faticano a partecipare alle campagne a causa dei loro impegni assistenziali. Queste iniziative nascono dalla consapevolezza che le persone con disabilità hanno un rischio maggiore di sviluppare tumori, come indicato da studi su The Lancet Oncology, anche per via di difficoltà nell’accesso alla diagnosi precoce. I modelli organizzativi efficaci devono quindi essere flessibili, personalizzati e capaci di integrare la collaborazione tra servizi sanitari e realtà associative.

Disabilità complesse, autismo, accomodamenti necessari e raccomandazioni finali

Non bisogna poi dimenticare le esigenze delle persone con disabilità complesse e, in modo esteso, delle persone nello spettro autistico, caratterizzate da grande variabilità funzionale e sensoriale. Parliamo di situazioni come iper/ipo-sensibilità ai rumori, luci o odori, difficoltà nell’interpretare il linguaggio implicito, problemi di propriocezione ed enterocezione, rischio di meltdown o shutdown, oltre a comportamenti apparentemente collaborativi che però mascherano difficoltà cognitive o relazionali. In questi casi il personale sanitario deve adottare una comunicazione esplicita, prevedibile e priva di ambiguità, e pianificare percorsi di cura altamente personalizzati.

È essenziale annotare e riconoscere i bisogni individuali, unire più prestazioni nella stessa giornata, garantire tempi flessibili e ridurre al minimo le attese. La presenza del caregiver è spesso indispensabile. Le raccomandazioni finali ribadiscono dieci punti chiave: superare stereotipi, formare il personale, ascoltare e osservare, personalizzare l’accoglienza, prevedere tempi adeguati, comunicare passo-passo le procedure, offrire visite preventive degli spazi, garantire il supporto del caregiver e utilizzare strumenti di Comunicazione Aumentativa Alternativa quando necessario.

Infine, le conclusioni del Rapporto sottolineano la complessità nell’organizzare programmi di screening oncologico realmente inclusivi per tutte le disabilità, soprattutto neuro-cognitive. Un tavolo di lavoro ampliato, con associazioni di pazienti e istituzioni, dovrà sviluppare un modello di screening specifico, integrabile nei programmi già esistenti a livello regionale, affinché il diritto alla diagnosi precoce sia garantito in modo equo.

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di Arrigo Bellelli

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