Ai primi di settembre 2025 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge delega relativo al riordino delle professioni sanitarie e alla responsabilità professionale. Il Governo avrà tempo fino al 31 dicembre 2026 per emanare i decreti attuativi, a norma dei criteri direttivi indicati nel Ddl.
Tra le misure previste figura la riforma dell’art. 590-sexies del Codice penale: il sanitario sarà punibile solo per colpa grave, premesso che segua le linee guida delle buone pratiche cliniche. Viene anche introdotto il nuovo art. 590-septies, che amplia i criteri per valutare la colpa tenendo conto anche della carenza di risorse, difficoltà organizzative non evitabili, incertezza scientifica, complessità del caso clinico e sussistenza di urgenze o emergenze.
Cosa cambia, perciò, per la responsabilità dei sanitari?
«Al momento, non molto. La prima cosa da sottolineare – spiega Daniela Marcello, professoressa di Diritto Privato presso l’Università di Firenze – è che la modifica riguarda il diritto penale, non quello civile. Il Ddl sulle professioni sanitarie ha raccolto la spinta che viene da parte del mondo sanitario di maggiore protezione e rassicurazione, ma non penso che l’intervento potrà essere dirimente. Questo è un parere da civilista non un giudizio tecnico da penalista. Certamente non si può parlare di scudo penale, perché il sanitario sarà processato come prima. Spostando l’attenzione sul procedimento civile è altrettanto importante chiarire che il profilo della responsabilità civile non è stato modificato: rimane il doppio binario che attribuisce la responsabilità contrattuale alle strutture e la responsabilità non contrattuale al sanitario».
Quindi, non cambia nulla?
«Non esattamente. È positivo che il Ddl sulle professioni sanitarie abbia inserito nei criteri di valutazione della diligenza e della colpa anche le circostanze nelle quali il sanitario lavora. D’ora in avanti è verosimile che condizioni come carenza di personale, situazioni di emergenza e problemi organizzativi verranno considerate a favore del sanitario nel processo penale. Non è una rivoluzione, perché questo era già l’indirizzo della giurisprudenza, ma è sicuramente importante che ciò che, prima, era orientamento giurisprudenziale diventi lettera della legge. A temperare questo risvolto positivo rimane la considerazione che, già prima, la quasi totalità dei procedimenti penali si concludesse con un’archiviazione o una assoluzione. La spada di Damocle per il sanitario non è la sentenza penale; è e rimane il procedimento, per il costo e lo stress».
E per quanto riguarda il procedimento civile?
«I criteri di valutazione del procedimento penale non trasmigrano in quello civile. Ma è vero che il civilista può attingere ai criteri della responsabilità penale, in particolare per definire la relazione causale e il concorso delle diverse cause al danno. I parametri indicati dal Ddl sulle professioni sanitarie circa la valutazione della colpa grave potranno avere un effetto sul procedimento civile e sulla responsabilità civile. Ma non stiamo parlando di riforme vere e proprie».
Quale sarà, secondo lei, l’impatto sulla medicina difensiva?
«Il peso psicologico ed economico dell’iter giudiziario non cambia per i sanitari a seguito del Ddl. La valutazione e l’interpretazione della responsabilità sono marginalmente più ‘rassicuranti’ per i sanitari, perché riconoscono le difficoltà oggettive nelle quali si trovano a lavorare, ma non abbastanza da poter prevedere con ragionevole sicurezza l’esito di ogni procedimento E, finché non si potranno prevedere gli esisti, non si potrà arginare il fenomeno della medicina difensiva. L’imprevedibilità degli esiti è ciò che non dà sicurezza ai sanitari, ma è anche una delle ragioni che limita fortemente la volontà delle assicurazioni di assumersi il rischio in sanità: è un rischio che non si può prevedere con sufficiente previsione».
Cosa sarebbe davvero rivoluzionario per la responsabilità sanitaria?
«Superare il modello della colpa prevedendo indennizzi ai pazienti al posto dei risarcimenti. Non è una soluzione applicabile in ogni ambito della sanità. Ma, per esempio, nel caso delle infezioni nosocomiali si potrebbe semplificare l’iter, riconoscendo un indennizzo al paziente e riducendo, nello stesso tempo, lo stress finanziario sul SSN. L’idea di fondo è riconoscere che esiste una quantità di rischio residuale, dopo avere applicato tutte le misure previste di mitigazione, che non può essere ridotta a zero. Quando succede un danno in questi casi è inutile cercare i colpevoli, perché il rischio fa parte del processo».
«Evitare l’iter giudiziario, tutte le costose perizie e le ricadute negative su personale e struttura significherebbe rispettare le legittime aspettative del paziente di vedere ristorati i danni tutelando la sostenibilità finanziaria della sanità. In generale penso che, sul tema dei risarcimenti, si debba iniziare a tutelare (ed equilibrare) due diritti distinti. Quello del paziente danneggiato, certamente. E quello di tutti i cittadini a non veder distrutto il loro servizio sanitario e modello delle cure universali».
