Gli allevamenti suini europei potrebbero diventare un laboratorio per il virus dell’influenza aviaria, che ha già colpito bovini, ovini e pollame. Questo è l’avvertimento lanciato da Bernhard Url, direttore esecutivo uscente dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), al Financial Times.
L’epidemia ha avuto inizio negli Stati Uniti lo scorso marzo, quando ha intaccato capi bovini in 17 Stati e pollame in tutto il Paese. Le autorità hanno certificato infezioni anche negli esseri umani e persino un decesso. Sempre nel 2024, in Oregon sono stati segnalati due casi nei suini. Per capirne qualcosa di più abbiamo raggiunto il Dott. Maurizio Ferri, veterinario dirigente della ASL di Pescara, ed esperto del Comitato Consultivo per le Emergenze di Sanità Pubblica.
Perchè il Direttore esecutivo dell’EFSA avverte sulla possibilità che i suini possano diventare un laboratorio per il virus dell’influenza aviaria?
«Il Direttore esecutivo dell’EFSA parlando di influenza e suini ha fatto riferimento ai mixing vessels o vasi di miscelazione con riferimento ad animali ospiti che possono essere infettati da due o più tipi di virus influenzali contemporaneamente e fungere da “terreno di coltura fertile” per nuove miscele e ceppi di un virus. Il meccanismo prevede la trasmissione potenziale di materiale genetico da un ceppo all’altro e l’emergere di un nuovo ceppo di influenza. Come tutti i virus influenzali, quelli aviari per il caratteristico genoma segmentato possiedono un elevato tasso di mutazione. Le quattro principali pandemie influenzali umane come la spagnola nel 1918, l’asiatica nel 1957, Hong Kong nel 1968 e influenza suina nel 2009-2010 sono derivate da virus dell’influenza aviaria che hanno formato nuovi tipi nell’uomo, nei suini, o in un altro ospite di miscelazione attualmente indeterminato».
Cosa dobbiamo fare per mitigare il rischio di nuove pandemia?
«I dati indicano un alto potenziale pandemico dei virus panzootici e sottolineano la necessità di sforzi continui per controllare le epidemie e monitorare l’evoluzione virale. Sugli eventi di ricombinazione e riassortimento globale del virus dell’influenza aviaria che possono configurare un rischio pandemico occorre concentrarsi su alcuni drivers come:
- espansione della gamma di ospiti virali comprendenti mammiferi terrestri e marini per il progressivo processo di adattamento del virus ai mammiferi;
- circolazione negli uccelli domestici di virus con marcatori di adattamento ai mammiferi che possono aumentare il rischio di trasmissione del virus ai suini e di riassortimento;
- esposizione dell’uomo alla trasmissione zoonotica da uccelli e mammiferi non disponendo degli anticorpi adatti per questo contesto.
Quanto grave può essere una pandemia da influenza aviaria?
Si stima che le conseguenze di una pandemia potenziale da influenza aviaria nell’uomo possano essere superiori del 50% a quella attuale di SARS-CoV-2. Data la portata globale dell’epidemia di influenza aviaria e la vasta gamma di ospiti e settori interessati, per prevenire, prevedere e mitigare l’impatto sulla salute pubblica ed animale è fondamentale adottare un approccio One Health. Le grandi organizzazioni mondiali per la prevenzione, in risposta alle minacce pandemiche dei virus dell’influenza aviaria, hanno elaborato una serie di raccomandazioni tra cui:
- intensificazione delle attività di sorveglianza epidemiologica nell’interfaccia uomo-animale-ambiente e di misure di biosicurezza negli allevamenti e nella filiera produttiva;
- condivisione dei dati di sequenza virale provenienti sia dal settore umano che animale per una rapida valutazione del rischio e caratterizzazione antigenica;
- risposta globale coordinata che coinvolga governi, organizzazioni sanitarie, ricercatori e agenzie internazionali;
- comunicazione, sensibilizzazione del pubblico sui rischi e sulla prevenzione;
- sviluppo di vaccini per l’uomo e la vaccinazione degli animali, ad esempio il pollame per ridurre la circolazione virale complessiva e l’esposizione umana».
Fortunatamente, la comunità scientifica si sta già muovendo per scongiurare una nuova epidemia seguendo proprio l’invito del Dott. Ferri. Infatti, gli scienziati dell’Università della Pennsylvania hanno sviluppato il primo vaccino mRNA contro l’aviaria per il bestiame bovino. Nonostante sia ancora in fase di sperimentazione, i primi risultati hanno indicato una forte risposta immunitaria nei vitelli contro l’infezione da aviaria.
Oltre all’aviaria ci sono altre malattie a cui dobbiamo prestare attenzione?
«La pandemia di COVID-19 ha allertato il mondo sulle malattie di origine zoonotica e suscitato preoccupazione e interesse diffusi per agire al fine di prevenire future pandemie simili. Il 60% di tutti i nuovi patogeni umani emergenti ha origine negli animali e il 72% di questi proviene dalla fauna selvatica, come primati non umani, roditori e pipistrelli. Parliamo di agenti alcuni dei quali in aumento significativo nel tempo come SARS, Ebola, Marburg, Hendra, MERS, Nipah, Zika − SARS-CoV-2, oltre all’influenza aviaria. Ci sono anche le arbovirosi, cioè virus trasmessi da vettori come zecche e zanzare che rappresentano oltre il 17% di tutte le malattie infettive. Tra queste, responsabili della morte di oltre mezzo milione di persone ogni anno, i virus del Nilo Occidentale, l’Usutu e l’encefalite da zecca. I fattori esterni che possono contribuire alla loro diffusione ci sono il cambiamento climatico, l’urbanizzazione, la facilità di viaggio e la globalizzazione».
«Per la prevenzione e controllo di queste infezioni, analogamente all’influenza aviaria, occorre un approccio One Health che abbia i suoi punti di forza sul miglioramento della conoscenza dell’interazione vettore-virus-ospite e dei fattori biologici e ambientali che influenzano il rischio di infezione. È necessaria una collaborazione multidisciplinare e intersettoriale, come l’integrazione delle pratiche veterinarie e mediche. Allo stesso tempo – conclude Ferri – bisogna attuare un potenziamento della sorveglianza attiva integrata e delle campagne di comunicazione e prevenzione rivolte alla popolazione».