Il dolore: un’esperienza totale, non solo fisica
Il dolore, nella sua accezione più ampia, è spesso ciò che accompagna – o addirittura definisce – l’esperienza della malattia. Ma non è solo una questione di sintomi fisici. A ricordarlo è il Dott. Tonino Cantelmi, Presidente dell’Istituto di Terapia Cognitivo-Interpersonale di Roma: «Accanto al dolore fisico, esiste un “dolore mentale”, una sofferenza psichica ed esistenziale che può essere altrettanto invalidante. È per questo che parlo di dolore totale, da affrontare con una cultura del sollievo globale, che comprenda dimensioni psicologiche, relazionali e spirituali».
Secondo Cantelmi, questo approccio deve superare l’idea che il sollievo sia riservato solo a pazienti terminali: «oggi si riconosce che il dolore – e la necessità di contrastarlo – riguarda anche chi convive con malattie croniche e degenerative. Siamo alle soglie di una rivoluzione che umanizza la medicina, dove la compassione diventa parte integrante della cura».
La dignità passa anche dal sollievo
Perdere il controllo del dolore significa spesso perdere anche la propria autonomia, il proprio senso di sé. «La sofferenza non alleviata ha un effetto disumanizzante», afferma Cantelmi. «Le cure palliative hanno restituito dignità al morire, ma la sfida oggi è restituire dignità alla vita, anche quando è segnata dalla malattia».
Non si tratta solo di farmaci: il sollievo è una risposta complessa, fatta di relazione e significato. «È una dinamica che dà senso alla sofferenza – continua Cantelmi – e che include il coping spirituale, ovvero la capacità di trovare risorse interiori nella propria fede o visione del mondo».
La compassione come strumento clinico
Negli ultimi anni si è fatto strada un nuovo paradigma terapeutico: il modello relazionale della compassione. «Si compone di ascolto, accettazione e partecipazione empatica – spiega Cantelmi – e diventa una forma strutturata di cura. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale può potenziare la medicina, la compassione rimane la garanzia dell’umano».
La Legge 38: un diritto ancora incompiuto
Dal punto di vista normativo, l’Italia è stata pioniera con la Legge 38 del 2010, che garantisce il diritto all’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Ma a quindici anni dalla sua approvazione, cosa è cambiato davvero?
«L’attuazione della legge è disomogenea – spiega il Dott. Mario Santarelli, direttore della UOC di Radioterapia all’Ospedale San Camillo de Lellis di Rieti e consigliere esecutivo della Fondazione Gigi Ghirotti –. La nostra fondazione ha condotto un’indagine nazionale che mostra come, in molte regioni, manchi ancora una rete strutturata di servizi. Sono rari i team dedicati, soprattutto in ambito pediatrico, e le risorse stanziate sono insufficienti».
Ospedali poco attrezzati e carenze multidisciplinari
Il problema si aggrava nei reparti ospedalieri dove, nonostante i progressi nelle cure palliative, il dolore viene spesso gestito in modo frammentario. «Mancano équipe interdisciplinari – denuncia Santarelli – e molti centri si limitano a trattamenti di base, senza poter offrire terapie complesse come le tecniche anestesiologiche o radioterapiche. La dimensione psicologica è quasi del tutto trascurata, con una grave assenza di servizi di psico-oncologia o supporto per i pazienti cronici».
Dare sollievo al dolore è sempre possibile
L’eredità di Gigi Ghirotti, giornalista e paziente, rimane ancora oggi la bussola per chi si occupa di dolore e dignità. «Nel suo libro Viaggio nel tunnel della malattia, Ghirotti denunciò un sistema che guardava al malato solo come una cartella clinica – ricorda Santarelli –. La sua battaglia civile ha insegnato che anche quando non si può guarire, si può sempre prendersi cura».
Per Santarelli, «sollievo è speranza, è sentirsi accompagnati. Lo si realizza con una relazione empatica tra curanti e malati, dove il primo passo è creare fiducia».
Educare alla cultura del sollievo
La formazione resta un nodo cruciale. «Solo alcune realtà sanitarie investono davvero nella formazione degli operatori su cure palliative e gestione del dolore – spiega Santarelli –. Ma è fondamentale che questa cultura entri stabilmente nei percorsi universitari e nelle scuole secondarie, per rispondere anche al disagio psicosociale dei più giovani».
La Fondazione Ghirotti lavora in questa direzione, promuovendo accordi e progetti educativi. «Dobbiamo rendere accessibili e visibili le risorse esistenti sul territorio – conclude Santarelli –. Informare è un dovere civile. Ed è il primo passo per costruire davvero una medicina del sollievo».
Per saperne di più
Domenica 25 maggio 2025 si è celebrata la XXIV Giornata Nazionale del Sollievo. Istituita nel 2001 su proposta dell’allora ministro della Salute Umberto Veronesi, questa ricorrenza si propone di diffondere una cultura del sollievo dalla sofferenza fisica e morale, in particolare per coloro che si trovano nella fase finale della vita e non possono più beneficiare di cure orientate alla guarigione.Nel tempo, il perimetro della Giornata si è ampliato, includendo anche le condizioni di sofferenza cronica e le patologie non oncologiche.
La promozione di un approccio centrato sul sollievo non è solo una questione di trattamento farmacologico, ma riguarda più profondamente l’umanizzazione della cura, l’ascolto, la relazione empatica, il riconoscimento del dolore nella sua dimensione anche psicologica e spirituale. Tra i promotori principali figurano la Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti Onlus e la Conferenza delle Regioni, con l’adesione di numerose realtà istituzionali e associative. La Fondazione Ghirotti, attiva da 50 anni, rappresenta un osservatorio privilegiato per comprendere l’evoluzione della presa in carico della sofferenza: dal 2000 gestisce un Centro di ascolto gratuito che offre supporto psico-oncologico, esempio concreto di un’attività orientata al sollievo nel quotidiano.