L’Asl Roma 6 ha ridotto di diverse ore il tempo di attesa in Pronto Soccorso per le donne con perdita di sangue ginecologica. «Il risultato – spiega il Risk Manager Maurizio Ferrante – non è stato raggiunto con una nuova tecnologia, un nuovo percorso assistenziale o nuove assunzioni di personale. Quello che abbiamo fatto è stato analizzare scientificamente il processo. Ci siamo resi conto che ritardi e tempi morti di diversi passaggi erano la causa di tempi di attesa irragionevolmente lunghi. Abbiamo cambiato la procedura, saltato i passaggi ridondanti, autorizzato gli infermieri a prescrivere un set di esami prestabilito e attivare immediatamente i ginecologi. Il risultato non cambia dal punto di vista clinico, ma si raggiunge attraverso un processo organizzativo molto più efficiente, quindi, anche più sicuro, nella misura in cui si riesce a erogare prima la prestazione».
Cosa ci dice questa esperienza che possiamo applicare nei diversi contesti sanitari?
«In sanità esistono innumerevoli processi come quello sopra descritto. Ognuno di questi può essere analizzato con una metodologia scientifica per individuare le sacche di inefficienza che si possono annidare in ogni passaggio organizzativo e logistico che avviene all’interno di un reparto, tra reparti, o tra reparti e laboratori, per esempio. Il risultato è un processo ottimizzato a parità di risorse. Un processo ottimizzato è un processo che riduce il costo della MedMal, sia perché mitiga la possibilità di errore e ritardo sia perché riduce gli sprechi e le inefficienze che pesano sulla qualità del servizio e, anche, sulla qualità del luogo di lavoro. Il beneficio è etico, di salute e finanziario».
Come si può rendere la mentalità della sicurezza più diffusa nella sanità?
«Quello di cui abbiamo bisogno è un upgrade culturale che individui nella sicurezza uno strumento di miglioramento sia del lavoro quotidiano che della gestione sanitaria su vasta scala. Facciamo ancora molta fatica a diffondere la cultura no-blame, che non cerca colpevoli quando si verificano gli eventi avversi ma, al contrario, lavora con i sanitari per risolvere gli errori organizzativi che sono alla base di quasi tutti gli incidenti. La cultura no-blame cerca, cioè le cause profonde e non superficiali della MedMal. Questa trasformazione culturale è bottom up, perché richiede la partecipazione dei sanitari (3mila dei 4mila dipendenti dell’Asl Roma 6). Ma c’è, anche, bisogno di una spinta top-bottom: un investimento ‘politico’ che definisca con maggior precisione la gestione del rischio e risolva le debolezze strutturali che ancora persistono nell’ambito della sicurezza delle cure in Italia».
Quali sono le debolezze del Risk Management sanitario?
«Tutte le Regioni hanno recepito l’obbligatorietà della figura del Risk Manager, ma in ordine sparso. Non c’è una normativa o linea di indirizzo nazionale che definisca esattamente il percorso formativo, il riconoscimento professionale o l’inquadramento del Risk Manager all’interno della struttura aziendale. È un “bug” del sistema; tutti e tutte i responsabili del rischio si augurano che venga risolto presto. Fino ad allora, la sicurezza sarà sempre dipendente dalla sensibilità e intelligenza delle Direzioni che devono avere la lungimiranza di investire, oggi, risorse umane e materiali, per esempio nella formazione del personale o nell’adeguamento degli edifici, sapendo che i benefici in risparmio e qualità delle cure si raccoglieranno solo domani».