Encefalite da zecche: una minaccia che si diffonde con il clima

Negli ultimi anni, l’encefalite da zecche (TBE) si sta espandendo oltre le aree endemiche storiche, spinta da fattori climatici, ambientali e sociali. In Italia i casi restano limitati, ma con segnali di crescita. La prevenzione — tra vaccinazione, consapevolezza e approccio One Health — resta fondamentale.
encefalite da zecche

Una malattia virale che arriva dal bosco

L’encefalite da zecche fa parte delle malattie trasmesse da vettori, dette arbovirosi, che rappresentano oltre il 17% di tutte le malattie infettive e sono responsabili della morte di oltre mezzo milione di persone ogni anno

La TBE (Tick-borne encephalitis) è una malattia virale trasmessa all’uomo principalmente dal morso di zecche infette del genere Ixodes. In alcuni casi, la trasmissione può avvenire anche attraverso il consumo di latte crudo non pastorizzato di animali infetti. Sebbene queste ultime rimangano le principali responsabili della trasmissione della TBE, recenti ricerche hanno svelato una trasmissione alternativa del virus attraverso gli alimenti, in particolare attraverso il latte materno, o quando si consumano latte e latticini crudi, in particolare quelli provenienti da pecore e capre viremiche.

Uno dei meccanismi più insidiosi è il cosiddetto co-feeding: la trasmissione del virus tra zecche che si alimentano simultaneamente sullo stesso ospite, anche in assenza di viremia sistemica.

Sintomi, decorso e trattamento

encefalite da zecche
Maurizio Ferri

L’agente patogeno è il virus TBEV, appartenente al genere Flavivirus, la stessa famiglia del virus della dengue e della febbre gialla. Dopo un periodo di incubazione di 7–14 giorni nel 70% dei casi si presentano solo sintomi lievi, che possono includere febbre, malessere e passare inosservati e durare 2-4 giorni. Ma solo nel 10-20% di questi casi, dopo un intervallo asintomatico di 8-20 giorni, si verifica una seconda fase con disturbi del sistema nervoso centrale (encefalite, paralisi flaccida con esito fatale nell’1% dei casi). Nei bambini e nei soggetti più giovani, la TBE mostra generalmente un decorso più lieve, con un progressivo aumento della gravità con l’avanzare dell’età. Non esiste un trattamento specifico: la terapia è solo di supporto. Ne abbiamo parlato in questo articolo con Maurizio Ferri, medico veterinario esperto di malattie zoonotiche, membro di Stakeholders Discussion Group on Emerging Risk dell’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare e coordinatore Scientifico di SIMeVEP.

Casi in aumento anche in Italia

Nel nostro Paese, la TBE è una malattia a notifica obbligatoria dal 2020, ma la sorveglianza nazionale è stata avviata già nel 2017. Casi sporadici erano stati precedentemente segnalati soprattutto in alcune aree alpine del Nord-Est.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, nel 2022 sono stati notificati 21 casi, un dato in lieve aumento rispetto agli anni precedenti. La provincia di Trento, dove l’infezione è endemica,  ha segnalato una crescita progressiva delle notifiche. In Veneto nel 2024 sono stati notificati 22 casi umani. 

Secondo Maurizio Ferri “l’espansione geografica delle zecche, facilitata dal cambiamento climatico, favorisce la diffusione della TBE in nuove aree geografiche. Oggi troviamo zecche portatrici del virus a quote più alte e latitudini più settentrionali rispetto al passato”.

Clima e fattori ambientali: i nuovi vettori della diffusione

Il cambiamento climatico sta modificando la distribuzione delle specie vettori. Inverni più miti e primavere anticipate aumentano l’attività delle zecche, allungando il loro ciclo vitale. Anche i cambiamenti nell’uso del suolo, la crescente urbanizzazione e la maggiore presenza dell’uomo in ambienti naturali contribuiscono al rischio di esposizione.

Le zecche del genere Ixodes sono generaliste, capaci di nutrirsi su numerose specie animali nei vari stadi della loro vita. Tra queste, i piccoli roditori (come topi e arvicole) agiscono da serbatoi naturali del virus. Va inoltre ricordato il ruolo di alcune specie di uccelli migratori coinvolti nel ciclo di trasmissione ed in grado di contribuire ad una distribuzione geografica delle zecche infette dal virus lungo le rotte migratorie e avviare nuovi focolai di TBE
“Serve una nuova consapevolezza — continua Ferri — anche perché le infezioni da TBE spesso non sono diagnosticate correttamente, o non vengono associate subito alla causa virale”.

L’unico scudo è la prevenzione

Poiché non esiste una terapia specifica, la vaccinazione resta il principale strumento di prevenzione. Il vaccino contro la TBE è disponibile, efficace e raccomandato in diversi Paesi europei, soprattutto per chi vive, lavora o pratica attività all’aperto in zone endemiche.

In Italia, la vaccinazione è raccomandata in alcune Regioni del Nord, come Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia.

A questo si aggiunge la prevenzione comportamentale: evitare aree infestate, usare repellenti, indossare abiti chiari e coprenti, controllare il corpo dopo ogni escursione nei boschi.

One Health: la visione integrata per affrontare la minaccia

L’encefalite da zecche è causata da un virus che circola in un ciclo naturale che coinvolge zecche, roditori e ungulati selvatici.

“Per questo serve un approccio One Health, che metta in rete ed integri la sorveglianza veterinaria, umana e ambientale, rafforzando la collaborazione tra medici, veterinari, biologi ed enti territoriali” sottolinea Ferri.

One Health è un approccio integrato alla salute che riconosce l’interconnessione tra la salute umana, animale e degli ecosistemi. Nasce per affrontare minacce sanitarie complesse come le zoonosi emergenti, e promuove interventi multidisciplinari, dalla sorveglianza integrata alla gestione dei rischi ambientali.

Monitorare per non inseguire

Lo scenario epidemiologico europeo, con la progressiva diffusione della TBE anche in Paesi precedentemente non endemici, rende chiara l’urgenza di potenziare la sorveglianza anche in Italia.

Servono più dati, maggiore sensibilizzazione tra medici di base e cittadini, e una chiara strategia vaccinale per le categorie più a rischio.

“Non possiamo inseguire il virus. Dobbiamo anticiparlo, costruendo sistemi di allerta precoce e informazione capillare. La TBE è un campanello d’allarme che ci ricorda quanto siano fragili i confini tra salute animale, umana e ambientale” conclude Ferri.

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