Tumore della prostata: uno su otto gli uomini colpiti, ma oggi si guarisce sempre di più

Tra gli uomini è la neoplasia più diffusa, ma controlli e nuove terapie permettono oggi diagnosi precise e trattamenti sempre meno invasivi

Patologia dall’incidenza elevata, costituisce l’incidenza maggiore all’interno del sesso maschile. Oggi si calcola che un maschio su otto svilupperà nel corso della sua vita un tumore alla prostata. Nonostante ciò, è facile da curare. L’indice di guarigione, infatti, è molto elevato: stando alle ultime stime del rapporto AIOM-AIRTUM “I numeri del cancro in Italia 2024”, in Italia nel 2024 sono stati registrati, circa 40.192 nuovi casi di tumore della prostata e oltre il 90% dei pazienti a cinque anni dalla diagnosi è ancora vivo. La bontà del dato viene risaltata dall’età media comprensibilmente avanzata.

Le varie tipologie e fattori di rischio

La quasi totalità dei tumori prostatici (oltre il 95%) sono adenocarcinomi acinari, ovvero tumori che originano dalle cellule ghiandolari deputate alla produzione del liquido seminale. Forme tumorali più rare, generalmente più aggressive e meno sensibili alle terapie standard, comprendono i carcinomi a piccole cellule (neuroendocrini) e i carcinomi duttali. Seppure estremamente rari, nella ghiandola possono formarsi anche tumori di pertinenza non prostatica, che dovranno quindi essere trattati in modo differente. Tra questi ci sono i sarcomi, che originano dalle cellule mesenchimali, e i carcinomi uroteliali, che originano dall’epitelio dell’uretra, il canale che porta l’urina dalla vescica all’esterno e che attraversa l’uretra.

Sintomi: non sono necessariamente quelli classici dei tumori e anzi elle fasi iniziali il tumore della prostata è asintomatico. L’esempio migliore è quello di non riuscire a urinare bene (come un getto piuttosto debole oppure la sensazione di non essersi svuotati dopo aver finito) o molte volte nell’arco della giornata. Questi due sono i sintomi di un’ipertrofia prostatica e non con certezza di un tumore, ma costituiscono dei campanelli d’allarme per recarsi dall’urologo.

I fattori di rischio sono diversi. Uno dei principali per il tumore della prostata è appunto l’età: le possibilità di ammalarsi sono scarse prima dei 40 anni, ma aumentano sensibilmente dopo i 50 anni e circa 2 tumori su 3 sono diagnosticati in persone con più di 65 anni. A seguire c’è l’esposizione ai cancerogeni ambientali (fumare), scarsa attività fisica e dieta ricca d grassi saturi. C’è una piccola componente di ereditarietà. Se assunto oltre i valori guida, l’alcool non comporta direttamente l’arrivo di una neoplasia alla prostata ma ne aumenta la probabilità.

La diagnosi

Spesso la diagnosi viene fatta a seguito di una visita urologica, nella quale viene prescritta un’ecografia e una risonanza magnetica. Capita spesso che ci siano delle diagnosi omesse, ovvero che si può mancare di fare la diagnosi perché in presenza di un fenotipo tumorale non letale. Quest’ultimo non richiede un percorso terapeutico perché in un arco temporale di 10 anni non comporta pericoli per la vita del paziente. In tal senso la risonanza magnetica è nostra alleata: ci dice se fare la biopsia e se ci si trova davanti un tumore pericoloso.

Il PSA (Prostate-Specific Antigen) è un indicatore che da solo non è indicativo ma, se ben usato, è molto utile e facile da determinare. Si tratta di una proteina prodotta quasi esclusivamente dalla prostata che fluidifica lo sperma, facilitando la mobilità degli spermatozoi. Costituisce un ottimo primo test a cui sottoporsi per capire se quello che ho davanti è un problema oncologico o meno. Successivamente deve essere coadiuvato da altri esami come, appunto, la risonanza magnetica. L’esplorazione rettale, fatta dal medico, è più utile se abbinata al dosaggio del PSA, perché permette di selezionare meglio i pazienti da candidare a ulteriori accertamenti.

L’unico esame in grado di identificare con certezza la presenza di cellule tumorali nel tessuto prostatico è la biopsia prostatica. Oggi si raccomanda la biopsia generalmente dopo l’esecuzione di una risonanza magnetica multiparametrica (mpMRI), che consente di valutare in modo più preciso la presenza di lesioni sospette e ridurre al minimo il numero di biopsie evitabili. La biopsia viene eseguita in anestesia locale, in regime ambulatoriale o in day hospital, e dura circa 10 minuti. I prelievi si eseguono per via transrettale o transperineale (la porzione di pelle tra scroto e ano) sotto la guida di una sonda ecografica posizionata all’interno del retto.

La cura

Il tumore della prostata può essere trattato con diverse strategie terapeutiche, scelte in base alle caratteristiche del paziente (età, salute generale, aspettativa di vita) e della malattia (rischio, estensione). Lo specialista urologo valuta il caso e decide insieme al paziente il percorso più appropriato. Nei soggetti anziani o con gravi patologie concomitanti si può optare per la “vigile attesa” (watchful waiting), cioè l’assenza di trattamento fino alla comparsa dei sintomi. Nei casi di tumore localizzato a basso rischio, è preferibile la sorveglianza attiva, che prevede controlli periodici per monitorare la malattia ed evitare effetti collaterali inutili, trattando solo se il tumore mostra segni di progressione.

Per le neoplasie a rischio intermedio o alto, le principali opzioni sono la prostatectomia radicale (rimozione della prostata e dei linfonodi pelvici) o la radioterapia a fasci esterni, eventualmente associata a terapia ormonale o brachiterapia. Nei tumori più aggressivi si utilizza un approccio multimodale che combina chirurgia, radioterapia e ormonoterapia. Oggi, l’uso del robot chirurgico è lo standard, poiché riduce i tempi di recupero e preserva meglio la funzione erettile.

Nelle forme metastatiche, la terapia di prima scelta è la deprivazione androgenica, che blocca il testosterone per rallentare la crescita tumorale, ma causa effetti collaterali come impotenza, aumento di peso e osteoporosi. A questa si possono associare nuovi farmaci ormonali orali, più efficaci delle terapie tradizionali. Quando il tumore diventa resistente alla castrazione, si possono usare chemioterapia (Docetaxel), terapie radiometaboliche (Radio-223, ¹⁷⁷Lutezio-PSMA-617) o farmaci a bersaglio molecolare come gli inibitori di PARP, soprattutto nei pazienti con mutazioni BRCA. L’immunoterapia è ancora in fase di studio, ma promette nuovi sviluppi per i casi resistenti.

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