Pochi italiani sono in grado di salvare una vita in caso di arresto cardiaco. Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio Opinion Leader 4 Future, progetto nato in collaborazione tra l’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, «solamente il 16% degli italiani riuscirebbe a intervenire con le corrette procedure di primo soccorso, come il massaggio cardiaco e l’utilizzo del defibrillatore automatico esterno». La maggior parte si limiterebbe a chiamare i soccorsi (29%) oppure ad agire solo se guidati da un operatore (32%). Addirittura, una piccola percentuale (2%) non interverrebbe in alcun modo.
Timore di peggiorare la situazione
La paura di non saper opportunamente intervenire è il fattore di maggiore resistenza al primo soccorso: il 56% degli intervistati ritiene infatti di «aver timore di peggiorare la situazione». Di conseguenza, anche la scarsa conoscenza delle manovre di emergenza è uno dei principali motivi di non intervento. Dati apparentemente in contrasto con il fatto che una buona parte degli italiani si dichiara informata sul tema arresto cardiaco. Nella ricerca, infatti, viene riportato che il 57% si reputa abbastanza informato, il 6% molto informato, ma «solo il 24% saprebbe definire esattamente un arresto cardiaco, e appena l’11% lo distinguerebbe correttamente da un infarto».
La scarna conoscenza delle manovre salvavita è data dall’altrettanto scarsa partecipazione ai corsi di primo soccorso. La ricerca infatti evidenzia come il 74% degli italiani non abbia mai frequentato uno di questi corsi, con il 12% che «non ricorderebbe le indicazioni teoriche ricevute», così come il 14%, nonostante la formazione svolta, non ricorderebbe bene come agire in caso di emergenza. Scarsa anche la conoscenza relativa ai defibrillatori automatici esterni: solo il 20% saprebbe come utilizzarlo, mentre il 70% li ha «solo sentiti nominare». Il 5%, invece, non sa nemmeno cosa siano.
Insegnare le manovre sin dalla scuola
Sono dati, questi, che gli stessi ricercatori definiscono preoccupanti. «Questi dati – spiega Andrea Scapigliati, presidente Irc, docente di anestesia e rianimazione dell’Università Cattolica e responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Terapia Intensiva cardiochirurgica della Fondazione Policlinico Gemelli – evidenziano l’urgenza di promuovere una maggiore consapevolezza tra i cittadini e di dare piena attuazione alla legge italiana 116/2021, che introduce interventi mirati per intervenire in modo più efficace in caso di arresto cardiaco, come la formazione obbligatoria a scuola sul primo soccorso, e per aumentare le probabilità di sopravvivenza. Le tecniche di primo soccorso – prosegue – dovrebbero essere insegnate sin dalla scuola, trasmesse ai giovani e agli operatori delle strutture sportive, integrate nei percorsi per il conseguimento della patente di guida e diffuse il più possibile nella popolazione».
Conoscenza che fa la differenza
Secondo Scapigliati, dunque, è urgente aumentare la consapevolezza degli italiani sulle manovre salvavita. «In questa direzione si inserisce l’accordo siglato da Irc con l’Unione Nazionale Autoscuole e Studi di Consulenza Automobilistica, volto a promuovere l’inserimento della formazione sul primo soccorso nei corsi per futuri automobilisti. Un altro strumento – prosegue – è l’app nazionale per smartphone che consente di localizzare i defibrillatori automatici esterni presenti sul territorio, facilitando un intervento tempestivo».
Misure come queste possono dunque fare la differenza. «Ogni anno in Europa si verificano circa 400.000 arresti cardiaci extraospedalieri, di cui 60.000 in Italia, e la sopravvivenza media si ferma al 7,5%. Dove la formazione è più diffusa – conclude – le probabilità di sopravvivere possono triplicare. È quindi essenziale coinvolgere e formare il maggior numero possibile di persone».
