Digitalizzazione, intelligenza artificiale, medicina territoriale e wearable devices: la formazione medica cambia volto. Ma il rischio, avverte Domenico Alvaro, Preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria dell’Università Sapienza, è perdere il cuore della professione, ovvero il rapporto umano con il paziente. Per questo, la Sapienza punta su un nuovo modello formativo che integra competenze tecnologiche e capacità relazionali, preparando i futuri medici alla sanità digitale senza rinunciare all’empatia. E sulla carenza di medici in determinate specialità non ha dubbi: è necessario renderle più attrattive e riconoscerle a dovere.
Prof. Alvaro, quali sono i grandi temi che in questo momento storico le università e le facoltà di medicina devono affrontare per rendere di qualità la formazione che forniscono ai futuri medici?
«Per rispondere a questa domanda ho necessità di fare una premessa. Da anni ormai la medicina sta evolvendo verso la transizione digitale. È indubbio che la transizione dei servizi sanitari alla dimensione digitale sarà un cardine della sanità del futuro, perché da un lato ha il vantaggio di poter raggiungere le popolazioni più disagiate e dall’altro quello di fornire dei servizi anche al di fuori del formale sistema sanitario, grazie alla possibilità di monitorare e predire la salute delle persone. L’auspicio di tutti, perciò, è che la digitalizzazione possa consentire il passaggio dall’attuale sistema ospedale-centrico a uno in grado di sfruttare le cure a domicilio».
«Per le cure domiciliari vi è grande aspettativa verso i wearable devices, cioè quegli strumenti che, indossati dai pazienti, ne tengono traccia dei parametri sanitari. Questi dispositivi sono utili perché consentono il controllo a distanza del paziente. In questo nuovo scenario l’ospedale non è più il luogo dove arrivano i pazienti, ma un vero e proprio hub in cui arrivano le informazioni del paziente che sta a casa sua».
«Ci sono poi tante altre potenzialità che ci mette a disposizione l’AI: porre il paziente al centro delle decisioni delle cure fornite, incoraggiare le cure al domicilio dello stesso, la possibilità di programmare e allocare le risorse in maniera ottimale e, inoltre, la possibilità di dare un supporto al personale sanitario. Questo infatti, grazie alla digitalizzazione e alle nuove tecnologie, potrà fornire cure personalizzate e mirate alle esigenze dei pazienti. Perciò, la sfida delle università è quella di creare dei programmi formativi che tengano conto di questa evoluzione del sistema sanitario».

«In questo senso dei passi importanti sono già stati fatti a seguito della cosiddetta riforma delle classi di laurea introdotta dai DM del dicembre 2023. Con la riforma vengono promossi dei percorsi formativi più flessibili e personalizzati, che hanno consentito l’inserimento di moduli che riguardano le nuove tecnologie. Sto parlando di sensoristica, AI applicata allo sviluppo di algoritmi diagnostici e terapeutici, analisi dei big data, genomica, bioingegneria, robotica medica e machine learning. Ora le università possono revisionare e valorizzare la propria offerta formativa affinché i futuri medici e infermieri possano gestire la transizione digitale».
«La Sapienza è stata la prima università pubblica in Italia ad attivare un corso di medicina e chirurgia HT, che sta per High Technology. Quest’anno siamo al sesto anno di corso. I docenti di questo corso non sono solo medici, ma sono ingegneri, informatici, matematici, esperti di AI e quindi chi si laurea in medicina e chirurgia HT, oltre alle tradizionali competenze cliniche, ha acquisito anche delle competenze tecnologiche per attuare la medicina digitale. Dopo di noi molte altre università hanno seguito questo percorso. L’obiettivo finale è quello di formare dei medici dotati di solide competenze tecniche e ingegneristiche. Il tutto, però, non perdendo quella che è la figura tradizionale del medico e soprattutto il rapporto medico-paziente che è fondamentale».
Qual è l’indirizzo che, in quanto Preside, intende dare alla sua facoltà per il futuro?
«Grazie alla riforma delle classi, noi già abbiamo inserito nei nostri percorsi formativi questi moduli che riguardano appunto l’AI applicata, la robotica e la sensoristica. Siccome questo è il modello che si vuole andare a perseguire, gli studenti che già da quest’anno si iscriveranno al corso di medicina e chirurgia avranno la possibilità, durante il loro percorso, di acquisire queste tematiche».
«Ci sono, però alcune criticità su cui l’intero sistema formativo e sanitario nazionale deve riflettere in maniera accurata. Da tante parti, infatti, si levano considerazioni sul rischio di un impoverimento della dimensione umana all’interno della professione medica, dovuto all’impiego sempre più diffuso di piattaforme digitali, di teleconsulto e strumenti di AI. Ridurre le occasioni di contatto diretto tra medico e paziente significherebbe la perdita di competenze comunicative, relazionali ed empatiche che da sempre rappresentano il fondamento di una pratica clinica tradizionale. Invece, è imprescindibile mantenere l’equilibrio tra l’innovazione tecnologica e centralità della persona. Il progresso digitale non deve compromettere la qualità di un rapporto terapeutico, all’interno del quale è fondamentale il legame tra medico e paziente. Questo è l’indirizzo verso cui vogliamo tendere i nostri studenti».
E quindi le università che cosa possono fare per preparare i giovani medici alle pressioni emotive e alle aspettative dei pazienti nei loro confronti?
«Ci sono alcuni punti che bisogna tenere in considerazione. Innanzitutto, gli ordinamenti didattici non dovrebbero sovraccaricare gli studenti in termini di offerta formativa e di quantità di ore erogate. Bisognerebbe, invece, eliminare dai programmi alcuni argomenti che ormai sono desueti e anacronistici ed è quello che stiamo facendo e in parte abbiamo già fatto. Al loro posto, dobbiamo inserire questi nuovi moduli dedicati alla medicina digitale e alle nuove tecnologie, dando sufficiente spazio come ho detto prima al paziente. Il medico deve sapere come visitare il paziente, instaurarci un rapporto empatico e comunicare in maniera efficace le informazioni cliniche. Se c’è una cosa che l’epoca COVID ci ha insegnato è proprio la difficoltà nel trasferire il messaggio di una buona pratica medica alla popolazione».
«In sostanza, oltre a essere preparato clinicamente il medico del futuro è empatico e possiede le competenze per attuare la sanità digitale, utilizzando l’AI. La comprensione dei dati clinici rimane essenziale, ma ora c’è un percorso formativo digitale che si deve accompagnare e integrare a essa. Spesso per il paziente il confronto con il medico è molto più importante di un esame diagnostico o della prescrizione di un farmaco».
Qual è la sua opinione sul numero chiuso e sul nuovo semestre filtro? Sono queste le cause della carenza di medici secondo lei?
«La mia opinione, comune a tanti altri colleghi, è che il numero di medici che è stato programmato da qui fino al 2030 è quello giusto. Non abbiamo bisogno di aumentare ulteriormente il numero dei medici. Abbiamo, invece, bisogno di professionisti che si dedichino a delle specialità che purtroppo oggi vengono trascurate nelle scelte dei nostri giovani. Ci sono alcune specialità i cui posti vengono occupati al 40% quando va bene; mi riferisco alla medicina e chirurgia d’emergenza urgenza, a quella territoriale, all’anatomia patologica ed alla patologia clinica. Queste sono tutte specialità che oggi sono carenti di specialisti e che, se non cambiamo nulla, lo saranno sempre di più. Il problema non è il numero, ma è rendere queste specialità attrattive».
«Come lo si può fare? Ovviamente la remunerazione è un aspetto fondamentale. A mio parere non si può remunerare un collega che in ospedale svolge un’attività esclusivamente ambulatoriale allo stesso modo di chi lavora al pronto soccorso o in emergenza-urgenza. E questo ovviamente è solo il primo passo, perché bisogna affrontare anche i carichi di lavoro e i rischi derivanti dal lavoro. Quindi torno a ripetere: il concetto non è il numero ma la qualità dell’offerta, è solo così che si potranno superare le criticità nel mondo della salute».
Questo e molti altri temi saranno dibattuti dal Prof. Alvaro insieme a molti altri relatori d’eccellenza alla tavola rotonda Fra interdisciplinarità e semestre filtro: come deve essere la formazione sanitaria del futuro? domani 6 novembre alle 15:00 a Welfair, la fiera del fare Sanità.
