Il disegno di legge (DDL) licenziato dalle Commissioni riunite presenta notevoli criticità che potrebbero di fatto determinare l’impossibilità di accesso al suicidio medicalmente assistito delle persone richiedenti. Sono diversi gli aspetti che contrasterebbero con quanto già statuito dalla Corte costituzionale, mediante tre sentenze che, sin dal 2019, hanno richiamato il Parlamento a legiferare sulla tematica estremamente complessa e sensibile. Numerose, inoltre, sono le associazioni tecniche e scientifiche che hanno espresso marcate perplessità sul DDL richiedendone una profonda modifica, anche in sede di discussione parlamentare.
I contrasti con le sentenze della Corte costituzionale
Le criticità emergono già dal titolo dell’articolo 1 del DDL: «Inviolabilità e indisponibilità del diritto alla vita». Qui l’inviolabilità della vita viene proclamata come assoluta e indisponibile, fino a trasformare il diritto in un dovere. Con tale enunciazione, nonostante sia tutelata dal nostro ordinamento, la rinuncia a trattamenti sanitari “salvavita” sarebbe in contrasto con il principio enunciato nel DDL. Rispetto ai requisiti, il testo sostituisce la nozione ampia di «trattamenti di sostegno vitale», riconosciuta dalla Consulta, con l’espressione più ristretta di «trattamenti di sostituzione delle funzioni vitali». È una scelta lessicale che limita drasticamente la platea degli aventi diritto, escludendo situazioni di sofferenza estreme che la Corte aveva incluso nella sua tutela.
È previsto anche che la persona richiedente sia «inserita nel percorso di cure palliative». Nel rammentare l’estremo valore delle cure palliative, che vanno garantite in maniera equa, capillare e su tutto il territorio nazionale, anche con adeguati finanziamenti, bisogna sottolineare come queste, alla stregua di ogni trattamento sanitario, non possano essere imposte alla persona che, informata, lecitamente le rifiuti. Oltre a ciò, fra i requisiti previsti è contemplata la necessità che la persona sia «affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili». Invece, le sentenze della Corte costituzionale richiamavano la presenza di «una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili». Le pronunce della Corte evidenziano come non solo il dolore fisico ma anche la sofferenza correlata da una particolare condizione esistenziale possano rendere lecita la richiesta di suicidio medicalmente assistito.
L’esclusione del Servizio Sanitario Nazionale
Nelle sentenze della Consulta il ruolo di verificare la sussistenza dei requisiti per accesso al suicidio medicalmente assistito è affidato al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) previo parere del Comitato Etico territorialmente competente. Nel DDL, invece, tale compito è affidato ad un Comitato nazionale di valutazione nominato dal governo. Viene eliminato così il ruolo dei Comitati Etici territoriali e del SSN previsti dalla Consulta, che avrebbero dovuto garantire la prossimità, la competenza e la terzietà delle decisioni. La valutazione diviene un mero processo burocratico, non valorizzando la relazione di cura che si instaura tra professionisti sanitari, persona malata ed eventuali familiari. Questo rapporto è cruciale in una situazione estremamente delicata e, spesso, di confronto, condivisione e arricchimento umano e professionale reciproco
Oltre a ciò, i tempi previsti per l’espressione del parere potrebbero essere superiori a 120 giorni. Si tratta di un tempo insostenibile per chi vive delle sofferenze non più sopportabili. In aggiunta, in caso di rifiuto della domanda, è previsto un limite di sei mesi per produrne un’ulteriore. Tale limite non trova alcuna ragione sotto il profilo tecnico ed etico e, pertanto, è del tutto non condivisibile.
Infine, il SSN si esclude tassativamente da qualsiasi ruolo nell’accompagnamento alla procedura di suicidio medicalmente assistito. Farmaci, strumenti, personale: nulla potrà provenire dal Servizio Sanitario, diversamente da quanto poi esplicitamente espresso nella recente sentenza della Consulta pubblicata nel luglio 2025.
Il giudizio
Tutto ciò significa che l’eventuale accesso al suicidio medicalmente assistito diventerà perlopiù riservata per coloro che avranno i mezzi economici per effettuarlo privatamente (o all’estero) senza le garanzie, il controllo e le professionalità offerti dal SSN. Questo disegno di legge non attua la sentenza della Corte costituzionale: la svuota, la restringe e la piega a una logica ideologica e lontana dal sentire della popolazione. Al posto di un quadro normativo capace di accompagnare con equilibrio e umanità il difficile tema del fine vita, ci troviamo di fronte a un testo che limita, fino a negare, l’autodeterminazione e apre la strada a nuove disuguaglianze.
Editoriale a cura di Lorenzo Menozzi, Coordinatore del Comitato per l’Etica Clinica dell’Azienda USL Toscana Sudest.