L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di sviluppare una demenza

Lo studio-review dell’Università di Cambridge attesta una relazione causale e traccia la direzione da percorrere per le ricerche future
Lo studio review attuato dall’Università di Cambridge attesta la presenza di una relazione causale e traccia la direzione da percorrere per le ricerche future

Vivere in un ambiente dall’aria inquinata aumenta la probabilità di contrarre patologie neurodegenerative come demenza e Alzheimer. Questa è conclusione di uno studio-review dell’Università di Cambridge pubblicato sulla rivista The Lancet Planetary Health.

La Commissione Lancet del 2024 ha inserito l’inquinamento atmosferico tra i 14 fattori di rischio modificabili per la demenza ma l’associazione tra inquinanti specifici e rischio di sviluppare demenza non era, finora, emersa in maniera univoca nella letteratura scientifica, complicando le valutazioni politiche e cliniche.

Le precedenti indagini su inquinamento atmosferico e rischio di demenza

Le ricerche precedenti hanno trovato prove suggerenti un’associazione tra PM2.5 e demenza, ma con incertezze per altri inquinanti come biossido di azoto e ozono. Le revisioni scientifiche, spesso con meta-analisi limitate, hanno inoltre trascurato l’analisi per sottotipi di demenza. Lo studio di Cambridge affronta queste mancanze ampliando il numero di inquinanti analizzati e includendo i sottotipi di demenza. Per farlo ha analizzato i dati di 32 ricerche di tipo coorte coprendo così un campione di 29 milioni di persone, soprattutto over 55.

Sono state condotte analisi di sottogruppo per sottotipi di demenza, ovvero Alzheimer e vascolare, continente, metodo di esposizione e metodo di diagnosi. Tra gli studi inclusi vige una grande eterogeneità, dovuta a differenze nei metodi di misurazione dell’inquinamento, nei sistemi sanitari, nella composizione demografica dei campioni e nelle definizioni diagnostiche della demenza. Perciò, viene sottolineata l’importanza di sviluppare metodi standardizzati e validati per la diagnosi dei sottotipi di demenza, anche perché molti studi si basano su diagnosi cliniche non patologiche.

Inoltre, gli studi si concentrano su singoli agenti inquinanti, non considerando l’effetto sinergico di miscele complesse. Le future ricerche sul rischio di demenza dovrebbero integrare modelli che considerino la varietà di agenti che contribuiscono all’inquinamento atmosferico e migliorare la rappresentatività delle popolazioni. Infatti, la maggior parte dei dati proviene da paesi ad alto reddito e da campioni prevalentemente bianchi.

La conferma della relazione casuale

Pur riconoscendo tali limiti negli studi che hanno composto la ricerca, gli autori sostengono che i risultati rafforzano l’ipotesi di una relazione causale tra inquinamento atmosferico e demenza. Per questo motivo affermano che politiche più restrittive sulla qualità dell’aria avrebbero impatti positivi significativi sulla salute pubblica.

A livello biologico, si riportano plausibili meccanismi patogenetici, tra cui neuroinfiammazione, stress ossidativo e danni alla barriera ematoencefalica, osservati anche in modelli animali. In particolare, alcune proteine proinfiammatorie come HMGB1 sembrano contribuire all’accumulo di placche amiloidi, favorendo il declino cognitivo.

I risultati alla luce della situazione in Italia

Secondo i risultati, per ogni aumento di dieci microgrammi per metro cubo di PM2.5, il rischio relativo di demenza sale del 17%. Anche il biossido di azoto, un inquinante legato principalmente al traffico veicolare e alla combustione dei carburanti, è associato a un aumento del rischio, seppur più contenuto: ogni dieci microgrammi per metro cubo corrispondono a un incremento del 3%. La fuliggine, invece, contribuisce a far salire il rischio del 13% per ogni microgrammo per metro cubo rilevato.

I limiti comunitari riguardanti l’esposizione annua a PM2.5, PM10 e biossido di azoto sono rispettivamente 25 µg/m³, 40 µg/m³ e 40 µg/m³. Tutte le città italiane rispettano questi valori soglia, ma alla luce dei risultati di questo studio non si può dire che siano ambienti salubri. A testimonianza di ciò, l’Italia è maglia nera in Europa per la qualità dell’aria, specialmente per quanto riguarda i capoluoghi della Pianura Padana. Questi pagano anche la conformazione geografica del territorio, che li vede chiusi su tre lati da Alpi e Appennini. Ciò ostacola la circolazione dell’aria, rendendola così stagnante e impedendo la dispersione degli inquinanti verso l’esterno. Infatti, molti superano i limiti giornalieri di 50 µg/m³ per più di 35 giorni all’anno: Milano, Verona, Vicenza in primis (anche se la peggiore è Frosinone).

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