La Manovra finanziaria per il 2026 tradisce le aspettative del settore pubblico: rappresenta un’occasione mancata per la sanità e i lavoratori del settore pubblico italiano. L’analisi delle misure adottate dal Governo rivela una profonda discrepanza tra gli annunci programmatici e la realtà dei provvedimenti approvati, con conseguenze particolarmente gravi per il Servizio Sanitario Nazionale già in forte difficoltà. Le organizzazioni sindacali hanno evidenziato come le scelte di politica economica privilegino altri capitoli di spesa a scapito del welfare e dei salari pubblici, accelerando il deterioramento di un sistema che fatica a garantire i livelli essenziali di assistenza.
Aumenti salariali tra annunci e realtà dei numeri
Una delle principali critiche alla manovra riguarda la riduzione degli interventi per il miglioramento delle retribuzioni dei lavoratori. La misura della detassazione dei rinnovi contrattuali è stata applicata in modo selettivo: riguarda esclusivamente il settore privato, si riferisce ai soli contratti stipulati nel biennio 2025-2026 ed è limitata a chi percepisce redditi sotto i 28.000 euro lordi annui. Il beneficio economico stimato per questa ristretta platea di lavoratori si aggira tra 3 e 6 euro mensili netti.

Per quanto concerne il pubblico impiego, le risorse inizialmente previste per la detassazione dei rinnovi contrattuali – stimate in circa 2 miliardi di euro – non sono state inserite nella manovra definitiva. Il personale sanitario pubblico beneficerà di un rinnovo contrattuale triennale con incrementi lordi del 6%, che si traducono in aumenti netti in busta paga di circa il 3%. Questi incrementi appaiono del tutto inadeguati se confrontati con la dinamica inflazionistica degli ultimi anni.
Il confronto con l’inflazione
Dal 2021 al 2024, l’inflazione cumulata ha raggiunto il 17%, con picchi dell’8,1% nel 2022 e del 5,7% nel 2023. Anche considerando la moderazione successiva – 1% nel 2024 e 1,7% stimato per il 2025 – risulta evidente come il potere d’acquisto delle retribuzioni pubbliche abbia subito un’erosione significativa. Il contratto collettivo del comparto sanità 2022-2024, sottoscritto nell’ottobre 2025, prevede incrementi mensili medi lordi di 172 euro su 13 mensilità, con arretrati variabili tra 900 e 1.270 euro. Tuttavia, diverse sigle sindacali hanno rifiutato di firmare l’accordo ritenendo questi importi insufficienti a recuperare quanto perso negli ultimi anni.
Previdenza: la manovra allunga la vita lavorativa
Dopo un’estate di dichiarazioni su possibili interventi di flessibilità la manovra ha confermato l’adeguamento automatico dell’età pensionabile agli incrementi della speranza di vita. Dal 2027 il requisito passa 67 anni e 1 mese. A partire dal 2028, salirà a 67 anni e 3 mesi. Le proiezioni demografiche e attuariali indicano un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile nei prossimi decenni. Analogamente, per la pensione anticipata indipendentemente dall’età, i requisiti contributivi aumenteranno. Dal 2028, da 42 anni e 10 mesi, si passerà a 43 anni e 1 mese. 41 anni e 10 mesi e 42 anni e 1 mese rispettivamente per le donne
Manovra finanziaria 2026: quali sono le vere priorità
Rigore fiscale e sostenibilità del debito:
il mantenimento di una linea di prudenza sui conti pubblici è giustificato dalla necessità di gestire un debito pubblico ai massimi storici. Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale collocano il rapporto debito/PIL al 136,8% nel 2025 e al 138,2% nel 2026. L’analisi di istituti privati come Morgan Stanley prospettano un peggioramento fino al 139,7% nel 2026.
Incremento delle spese per la difesa.
la manovra prevede un significativo aumento progressivo delle risorse destinate alla difesa, che secondo i documenti programmatici raggiungerà il 2,5% del PIL entro il 2028. Nel triennio 2026-2028, l’incremento complessivo delle spese militari ammonta a circa 23 miliardi di euro. La spesa diretta del 2026 si attesterà sui 34 miliardi. Si registra un aumento del 45% rispetto al decennio precedente. Una scelta questa, che non aiuterà il necessario incremento di risorse per il sistema di Welfare, che necessita di risorse per far fronte ai bisogni legati alla transizione demografica ed epidemiologica.
Gestione del prelievo fiscale
La scelta è quella di non inasprire la pressione fiscale sugli extraprofitti e sui grandi patrimoni, privilegiando invece accordi negoziati con i principali contribuenti. Parallelamente, viene riproposta la definizione agevolata delle cartelle esattoriali (la quinta edizione, denominata “rottamazione quinquies”). E questo nonostante le precedenti edizioni non abbiano prodotto risultati significativi nella riduzione dello stock di debiti da recuperare.
Il fenomeno dell’evasione fiscale italiana mantiene dimensioni imponenti, con stime che superano i 100 miliardi di euro annui. Il tax gap ha raggiunto i 102,5 miliardi nel 2022, in crescita di 3,5 miliardi rispetto al 2020. Le maggiori aree di evasione riguardano l’IVA (circa 35 miliardi), l’IRPEF (25 miliardi) e l’IRES (20 miliardi).
La nuova rottamazione permetterà di saldare le cartelle esattoriali relative ai debiti fino al 2023 pagando solo il capitale principale. I piani di rateizzazione fino a 120 rate mensili distribuite su 10 anni.
Il Fondo Sanitario Nazionale: analisi oltre la comunicazione istituzionale
L’incremento del Fondo Sanitario Nazionale costituisce uno degli elementi più enfatizzati nella comunicazione governativa. Gli annunci parlano di aumenti tra 6,3 e 7,4 miliardi di euro per il 2026. Tuttavia, un’analisi più approfondita dei meccanismi di finanziamento rivela una realtà differente. Il FSN era già stato incrementato di 4 miliardi nella legge di bilancio precedente. Loe risorse effettivamente nuove destinate al 2026 si riducono quindi a 2,3-2,4 miliardi. Il fondo raggiungerà 143,1 miliardi nel 2026, 144,1 nel 2027 e 145 miliardi nel 2028, per un incremento complessivo triennale di 7,7 miliardi.
Il rapporto tra Fondo e ricchezza nazionale
L’aspetto più significativo emerge dall’analisi del rapporto tra spesa sanitaria e ricchezza nazionale. La quota del PIL destinata alla sanità pubblica passerà dal 6,04% del 2025 al 6,16% del 2026. Subirà, poi, una flessione progressiva: 6,05% nel 2027 e 5,93% nel 2028. Nel 2024 la spesa sanitaria pubblica italiana si attesta al 6,3% del PIL. Significativamente al di sotto della media OCSE (7,1%) e di quella europea (6,9%). Il confronto internazionale evidenzia la posizione di ritardo dell’Italia. In termini di spesa pro-capite, il Paese si colloca al 14° posto tra i 27 Stati europei dell’area OCSE e all’ultimo posto tra quelli del G7. La spesa sanitaria pubblica pro-capite italiana ammonta a 3.835 dollari, contro una media europea di 4.689 dollari. È una differenziale complessiva di 43 miliardi di euro. Tredici Paesi europei investono più dell’Italia, con la Germania in testa a 8.080 dollari pro-capite e la Spagna che supera l’Italia con 3.893 dollari.

I vincoli di bilancio: quanto pesa la spesa farmaceutica?
Le risorse aggiuntive per il 2026, già limitate, risultano in larga parte preimpegnate da vincoli di spesa esistenti. Particolare preoccupazione destano i costi crescenti della farmaceutica, che potrebbero assorbire una quota significativa degli incrementi. La spesa farmaceutica a carico del SSN ha raggiunto i 23,659 miliardi di euro nel 2024, segnando un incremento dell’8,6% rispetto all’anno precedente. Le proiezioni per il 2025 indicano un superamento dei 25 miliardi: circa il 20% della spesa sanitaria complessiva è destinata ai farmaci. La manovra prevede 350 milioni per l’innalzamento del tetto di spesa farmaceutica (+0,20% per gli acquisti diretti e +0,05% per la convenzionata). 280 milioni per i dispositivi medici. Cifre che gli osservatori indipendenti ritengono insufficienti per una risposta strutturale.
L’impatto sulle liste di attesa
Le conseguenze prevedibili includono un ulteriore peggioramento delle liste d’attesa, l’incremento delle addizionali fiscali regionali, l’aumento dei ticket e la possibilità che altre Regioni entrino in piano di rientro. I dati sulle liste d’attesa confermano l’emergenza in atto. Nel 2024, il 9,9% della popolazione italiana – equivalente a circa 5,8 milioni di persone – ha dovuto rinunciare ad almeno una prestazione sanitaria necessaria, in crescita rispetto al 7,6% del 2023 (4,5 milioni) e al 7% del 2022 (4,1 milioni). L’aumento delle rinunce è principalmente attribuibile ai tempi d’attesa eccessivi: la percentuale è passata dal 4,2% del 2022 al 6,8% nel 2024 (4 milioni di persone), con un incremento del 51% tra il 2023 e il 2024.
Cosa causa la rinuncia alle cure?
Le difficoltà economiche continuano a rappresentare una barriera all’accesso: chi rinuncia per motivi economici è aumentato dal 3,2% del 2022 al 5,3% del 2024 (3,1 milioni di persone). I dati della piattaforma nazionale rivelano che solo metà delle prestazioni rispetta i tempi massimi stabiliti, con tempi medi che in alcune aree superano i 100 giorni: 114 giorni al Nord, 126 al Centro, 108 al Sud.
Il piano assunzioni: tra necessità e vincoli di bilancio
Uno degli aspetti più problematici della manovra riguarda la riduzione del piano assunzioni nel Servizio Sanitario Nazionale. Le previsioni iniziali di 25-30.000 nuovi ingressi sono state drasticamente ridimensionate a circa 6.300 infermieri e un migliaio di medici, un numero manifestamente inadeguato rispetto alle necessità del sistema.
Quanto infermieri mancano all’Italia?
Il deficit strutturale di personale infermieristico è documentato: l’Italia conta 5,13 infermieri ogni 1.000 abitanti, contro una media OCSE di 9,5. Per allinearsi alla media europea servirebbero circa 65.000 infermieri aggiuntivi. Nel solo triennio 2020-2022 hanno lasciato il SSN 16.192 infermieri, con 6.651 uscite nel 2022. Le proiezioni indicano che entro il 2035 circa 78.000 infermieri raggiungeranno i requisiti pensionistici, aggravando ulteriormente la carenza.
Scienze infermieristiche: sempre meno studenti
L’attrattività professionale della carriera infermieristica è in forte calo: il rapporto domanda/offerta per il Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche è sceso da 1,6 prima della pandemia a 1,04 nel 2024-2025, quando i candidati sono stati appena sufficienti a saturare i posti disponibili. Nel 2022 si sono laureati solo 16,4 infermieri ogni 100.000 abitanti, contro una media OCSE di 44,9.
La migrazione dei medici
Per quanto riguarda i medici, la situazione presenta caratteristiche paradossali: l’Italia non ha carenza quantitativa assoluta di medici (5,4 ogni 1.000 abitanti, seconda in Europa dopo l’Austria), ma registra una continua migrazione dal settore pubblico verso quello privato o verso l’estero. Al 1° gennaio 2024 si stimava un deficit di 5.575 medici di medicina generale e 502 pediatri di libera scelta. Tra il 2026 e il 2038, circa 39.000 medici potrebbero lasciare per pensionamento.
Le retribuzioni rimangono significativamente inferiori alla media OCSE: per i medici specialisti la retribuzione media italiana è di 117.954 dollari contro i 131.455 della media OCSE; per gli infermieri ospedalieri 45.434 dollari contro i 60.260 della media OCSE.
Il caso dell’indennità di specificità medica: un’analisi dei numeri reali
L’aumento dell’indennità di specificità medica è stato presentato come un incremento di circa 3.000 euro, ma un’analisi dettagliata dei numeri rivela una realtà differente. Lo stanziamento previsto nella legge di bilancio per il 2025 era di 50 milioni per l’anno 2025 e 327 milioni per il 2026. La Manovra 2026 ha portato la cifra del 2026 a 412 milioni, con un incremento effettivo di 85 milioni. L’ARAN ha calcolato che i 50 milioni del 2025 corrispondono a incrementi lordi annui di 303,79 euro per ciascuno dei 120.138 medici interessati. I 412 milioni del 2026 genereranno aumenti di circa 2.503 euro lordi annui, per un totale lordo complessivo di 2.807 euro annui. La situazione cambia significativamente considerando le trattenute: sottraendo i contributi previdenziali del 12,2% (342,45 euro), l’imponibile fiscale si riduce a 2.464,50 euro. Applicando l’aliquota marginale minima del 45%, comprensiva delle addizionali regionali e comunali, il netto annuo scende a 1.355,50 euro, equivalenti a 104,27 euro mensili per 13 mensilità.
Ancora più ridotto è l’incremento effettivo derivante dalla Manovra 2026: gli 85 milioni aggiuntivi corrispondono a 516,44 euro lordi annui, che con la tassazione minima diventano 249,38 euro netti annui, pari a soli 19,18 euro netti mensili di incremento effettivo. Per il personale infermieristico il totale lordo annuo complessivo sarà di 1.630 euro. La categoria più penalizzata è la Dirigenza sanitaria non medica (PTA), già esclusa dal finanziamento relativo al 2026 nella precedente legge di bilancio: per questi dirigenti il totale lordo annuo comprensivo sia del 2025 che del 2026 si ferma a 804,81 euro lordi annui, cifra inferiore anche a quella del personale non dirigente.
Le disparità di trattamento: settore pubblico e privato
La manovra conferma e amplia le disparità di trattamento tra lavoratori del settore pubblico e privato. Il pubblico impiego non beneficia di alcuna forma stabile di detassazione sulle voci stipendiali né di incentivi fiscali sul welfare aziendale. Non vengono affrontate le questioni relative all’armonizzazione dei trattamenti economici, in particolare per la dirigenza PTA del SSN che presenta le retribuzioni più basse tra tutti i dirigenti pubblici e non beneficia dell’indennità di esclusività prevista invece per i dirigenti delle professioni sanitarie. Il superamento dei vincoli imposti dalla cosiddetta legge Madia sulla spesa per il personale è avvenuto solo per alcune categorie professionali, lasciandone scoperte altre. Il tetto di spesa per il personale sanitario, introdotto nel 2004, continua a condizionare la programmazione delle aziende sanitarie nonostante numerosi interventi normativi volti a superarlo. Attualmente la spesa per il personale non può eccedere quella del 2018, incrementata a livello regionale del 10% dell’aumento del Fondo sanitario. Nel 2024 l’incremento del tetto è stato minimo, nell’ordine dell’uno per cento o poco più. Il vincolo al trattamento accessorio, anche in presenza di disponibilità di risorse e necessità assistenziali, risulta anacronistico e spinge spesso le aziende sanitarie a preferire l’esternalizzazione e il ricorso a collaborazioni temporanee piuttosto che aumenti retributivi legati alla produttività.
L’espansione del settore privato: dati e dinamiche
Il sottofinanziamento del sistema pubblico e le condizioni operative difficili del SSN stanno accelerando lo spostamento verso forme private di assistenza sanitaria. Nel 2024 la spesa sanitaria complessiva ammonta a 185,12 miliardi di euro: 137,46 miliardi di spesa pubblica (74,3%) e 47,66 miliardi di spesa privata, di cui 41,3 miliardi (22,3%) pagati direttamente dalle famiglie (spesa out of pocket). L’86,7% della spesa privata grava direttamente sui cittadini, mentre solo il 13,3% è intermediata da fondi sanitari e polizze assicurative. Nel 2023 la spesa sanitaria privata ha superato i 40 miliardi di euro, segnando un incremento del 17,3% rispetto all’anno precedente. Secondo rilevazioni del Censis, il costo medio annuale sostenuto dagli italiani per visite specialistiche e analisi presso strutture private è di circa 580 euro. La crescita delle strutture private accreditate procede costantemente. Nel 2022 le strutture private accreditate rappresentavano il 49% del totale per l’assistenza ospedaliera, il 59% per quella specialistica ambulatoriale, il 72% per l’assistenza territoriale semiresidenziale, il 78% per quella riabilitativa e l’85% per quella territoriale residenziale. Tra il 2021 e il 2022 lo stock di strutture territoriali private accreditate è cresciuto di 349 unità, pari all’1,3%. I principali gruppi sanitari privati operanti in Italia – come il Gruppo Ospedaliero San Donato, Humanitas, GVM, Policlinico Gemelli e Gruppo Kos – dominano il mercato con fatturati annui compresi tra 660 milioni e oltre 1,6 miliardi di euro. La spesa pubblica, in percentuale del PIL, è scesa dal 6,8% nel 2022 al 6,3% nel 2023, innescando una dinamica in cui i cittadini sono sempre più costretti a rivolgersi al privato per evitare le lunghe attese del settore pubblico.
Guardiamo l’Europa: salari e competitività
Il quadro generale sulla condizione retributiva dei lavoratori italiani evidenzia un ritardo significativo rispetto ai partner europei. I recenti rapporti della Banca Centrale Europea certificano che l’Italia registra tra i salari più bassi d’Europa e una dinamica dei salari reali al netto dell’inflazione in costante deterioramento. L’Italia si colloca al 22° posto su 34 Paesi OCSE per salario medio annuo. Nel 2024 la Retribuzione Annua Lorda media è di 48.874 euro, inferiore alla media OCSE di oltre 9.000 euro. Tra i Paesi dell’Eurozona, l’Italia occupa solo la decima posizione, nonostante sia la terza economia del blocco. Lo stipendio medio lordo mensile in Italia è di circa 2.729 euro, contro una media europea di 3.155 euro: i lavoratori italiani percepiscono mediamente 429 euro in meno al mese rispetto alla media europea. Il dato più preoccupante riguarda i salari reali: all’inizio del 2025 i salari in Italia erano del 7,5% inferiori rispetto a inizio 2021. L’Italia ha registrato il calo più marcato dei salari reali tra tutte le principali economie dell’OCSE. Il potere d’acquisto delle retribuzioni italiane risulta inferiore di circa il 15% rispetto alla media europea.
Nel periodo 2000-2023, l’incremento dei salari netti annui dei lavoratori italiani è stato molto più contenuto rispetto ai colleghi europei. Le previsioni della BCE indicano un rallentamento degli aumenti salariali nel 2025, con una crescita del +1,5% annuo nel quarto trimestre 2025, in forte calo rispetto al picco del +5,3% registrato un anno prima.
Prospettive: le sfide strutturali del sistema sanitario
L’analisi complessiva della Manovra 2026 e dei suoi effetti sulla sanità italiana delinea scenari problematici per il futuro prossimo. La manovra non affronta le criticità strutturali del SSN, ma al contrario le aggrava attraverso scelte che privilegiano altri capitoli di spesa e scaricano il peso del sistema sui lavoratori dipendenti e sui cittadini.
Con un Fondo Sanitario destinato a scendere sotto il 6% del PIL nel 2028, liste d’attesa fuori controllo, un esodo continuo di personale qualificato, 5,8 milioni di cittadini che rinunciano alle cure necessarie e 41,3 miliardi di spesa privata sostenuta dalle famiglie, emerge una crisi di sostenibilità del modello. Il risultato è un sistema sanitario pubblico in grave difficoltà, che fatica a garantire i Livelli Essenziali di Assistenza previsti dalla normativa, con crescenti diseguaglianze territoriali e sociali, e una progressiva espansione del settore privato che trasforma la tutela della salute da diritto universale a servizio accessibile in base alla capacità economica individuale. Per invertire questa tendenza servirebbero interventi strutturali di ben altra portata, puntando soprattutto sul binomio innovazione ed efficienza, accompagnati da un ripensamento profondo delle priorità di politica economica e sociale per tutelare un SSN pubblico ed universale di cui questo paese non può fare a meno.
Marinella D’Innocenzo
