L’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (WOAH) ha pubblicato il suo primo rapporto globale annuale sulla salute animale. La panoramica che è riportata dal documento evidenzia l’arrivo di nuove patologie animali e un aumento della loro diffusione geografica. Questo fatto mette a rischio biodiversità, sicurezza alimentare, salute pubblica e commercio globale. Infatti, le epidemie hanno causato ingenti perdite economiche per allevatori e industrie agroalimentari che hanno dovuto abbattere i propri capi bovini, ovini, suini e di pollame.
I dati del rapporto sulla salute animale
Nel 2023 più di 3000 focolai si sono diffusi oltre i confini in cui erano tradizionalmente presenti. Inoltre, il 47% delle malattie segnalate ha un potenziale zoonotico, ossia può trasmettersi dagli animali all’uomo. A causarlo sono stati cambiamenti climatici, aumento della mobilità globale, le trasformazioni nell’uso del suolo e il contatto sempre più ravvicinato tra animali domestici, fauna selvatica e popolazioni umane. Nonostante il rischio di infezione umana al momento sia basso, maggiore è il numero di animali infettati e maggiore è la probabilità che il virus passi all’uomo.
Particolare attenzione è rivolta all’influenza aviaria, che ha colpito oltre 633 milioni di uccelli negli ultimi vent’anni. Nel 2024 i casi nei mammiferi infettati sono più che raddoppiati rispetto all’anno precedente, coinvolgendo anche predatori marini e specie terrestri. In casi isolati, si è verificata la trasmissione all’uomo, alimentando il timore di una futura pandemia zoonotica. Oltre all’influenza aviaria, sono sotto stretta osservazione anche peste suina africana e peste dei piccoli ruminanti. Quest’ultima, che tradizionalmente colpiva gli ovini nei paesi in via di sviluppo, è approdata nel vecchio continente. La peste suina africana è stata diagnosticata a più di 1.800 km di distanza dai focolai precedentemente conosciuti, arrivando fino allo Sri Lanka.
Il rapporto sulla salute animale evidenzia gravi disparità nell’accesso ai vaccini veterinari: molte economie a basso reddito non dispongono di infrastrutture né risorse per proteggere efficacemente il proprio bestiame. Contestualmente, il consumo globale di antimicrobici negli animali da allevamento è sceso del 5% tra il 2020 e il 2022, un segnale positivo nella lotta contro l’antibiotico-resistenza. Tuttavia, la ridotta vaccinazione espone ancora milioni di animali, e persone in una seconda fase, a rischi evitabili.
Le buone pratiche da seguire
L’appello lanciato dalla WOAH si sviluppa quindi su quattro pilastri:
- Aumentare la sorveglianza delle malattie animali (anche nella fauna selvatica) tramite il sistema globale WAHIS;
- Migliorare l’accesso ai vaccini, riducendo il divario tra Paesi ricchi e poveri;
- Rafforzare le capacità veterinarie locali e investire in sistemi di prevenzione;
- Adottare un approccio One Health, riconoscendo l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale.
La Francia rappresenta un esempio virtuoso: vaccinando sistematicamente le anatre ha ridotto da 700 a 10 i focolai di aviaria. Purtroppo, però, Parigi è un’eccezione: la percentuale di Paesi che attuano misure di controllo di questo genere è passata dall’85% al 62%. Il rapporto della WOAH rappresenta un campanello d’allarme. Le malattie animali non sono più solo un problema veterinario, ma una questione globale che richiede cooperazione internazionale, investimenti e politiche integrate. Difendere la salute degli animali significa proteggere il benessere dell’intera umanità.