I carcinomi tiroidei rappresentano la forma più comune di neoplasia endocrina e, negli ultimi decenni, la loro incidenza è in costante aumento a livello globale. Nel 2024 sono state stimate 11.378 nuove diagnosi di carcinoma della tiroide, pari a circa il 4% di tutti i tumori. L’incidenza è nettamente superiore nei confronti delle donne (8.322) che negli uomini (3.056). A 5 anni dalla prognosi è del 96% per il sesso femminile e al 92% per quello maschile. Il carcinoma papillare, forma più frequente, costituisce la gran parte delle diagnosi e beneficia di strategie consolidate di trattamento e follow-up. La terapia più comune è quella dell’intervento chirurgico con successiva irradiazione del residuo tessuto tiroideo con lo iodio.
Purtroppo, ci sono dei casi in cui il paziente è immune a tale tipo di terapia, quindi è necessaria la continua ricerca sui carcinomi tiroidei. Contribuisce a ciò lo studio NePenThe, a cui partecipa la Dott.ssa Laura Locati, direttrice della Struttura Complessa di Oncologia presso l’IRCCS Maugeri di Pavia e professore associato di Oncologia Medica all’Università di Pavia.
Com’è strutturato lo studio NePenThe e qual è il suo scopo?
«Come target questa ricerca sui carcinomi tiroidei ha 25 pazienti, tutti candidati ad intervento chirurgico di tiroidectomia. Di questi, 20 scelti in modo casuale riceveranno un trattamento sperimentale con l’immunoterapia prima di sottoporsi all’intervento. I rimanenti 5 compiranno il solito iter chirurgico senza ricevere il trattamento dell’immunoterapia. Il trattamento chirurgico rimane chiave, ma si vuole vedere se in questo modo è possibile rendere la malattia più operabile per il chirurgo. Inoltre, vogliamo capire se questa terapia può invertire il comportamento immunosoppressivo dei carcinomi tiroidei ad alto rischio».
Lo studio è attualmente in corso e coinvolge i seguenti istituti clinici: Policlinico San Matteo e Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Maugeri di Pavia, Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e i policlinici Gemelli e Umberto I di Roma.
Oltre allo studio di cui abbiamo appena parlato come si sta prodigando la ricerca in questo ambito?
«Fino a 15 anni fa i tumori alla tiroide erano “orfani” perché non c’erano trattamenti specifici. Ora, invece, possiamo somministrare ai nostri pazienti dei trattamenti efficaci e persino dei farmaci che anni fa erano inesistenti. Come dimostra la volontà di fare questo studio, può giocare un ruolo importante anche l’immunoterapia».
Il dato è stabile o c’è una tendenza negli ultimi anni?
«Il trend del carcinoma papillare è in ascesa, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Questo aumento non sembra legato ai fattori di rischio quanto a una crescita esponenziale nell’utilizzo dello screening, che in certi casi sfocia nell’overdiagnosys. La crescita è ancora più spiccata in Corea del Sud dove ci sono continue campagne di screening. Una volta trovati, il 90% va a buon fine e per questo motivo si pensa a uno screening attivo e continuo».
Perché c’è un’incidenza nettamente maggiore nelle donne rispetto agli uomini?
«Ci sono varie ipotesi che la comunità scientifica sta cercando di appurare, fra cui fattori ormonali e di metabolismo. Tuttavia, a oggi non sono stati accertati con sufficiente evidenza scientifica fattori di rischio differenti legati al sesso».