Gli atleti con fibrosi miocardica hanno un rischio maggiore di aritmie cardiache

Uno studio su atleti over 50 di sport di resistenza rivela una forte correlazione tra la fibrosi miocardica non ischemica e il rischio di aritmie ventricolari, senza capire però se ne è la causa
Lo studio dell’Università di Leeds su atleti d'endurance attesta un legame fra fibrosi miocardica e aritmia, senza però capirne la natura

La morte cardiaca improvvisa, provocata da aritmie primarie, rappresenta una delle principali cause di decesso tra gli atleti, in particolare tra gli uomini più anziani. In ambito clinico, è noto che la presenza di fibrosi miocardica, ovvero tessuto cicatriziale all’interno del muscolo cardiaco, è fortemente associata all’insorgenza di aritmie, soprattutto in pazienti con cardiomiopatia non ischemica. Tuttavia, ciò che ancora non è chiaro è se questa, quando riscontrata in sportivi apparentemente sani, abbia un significato clinico rilevante. L’Università di Leeds, perciò, ha condotto uno studio negli atleti per assodare o confutare l’associazione di un maggiore rischio di aritmie cardiache alla presenza di fibrosi miocardica.

Il disegno della ricerca

Lo studio, nominato VENTOUX come una delle scalate più iconiche del Tour de France, è stato condotto in un arco temporale di circa due anni su un centinaio di atleti maschi di ciclismo e triathlon ultracinquantenni, con almeno 10 ore di allenamento settimanale per almeno 15 anni. L’Università di Leeds ha escluso dalla popolazione del campione soggetti con cardiopatie, sintomi cardiaci e controindicazioni alla risonanza magnetica cardiaca. Inoltre, per attuare un confronto ha arruolato anche un gruppo di controllo composto da uomini ultracinquantenni ma sedentari, ovvero con meno di tre ore di esercizio a settimana.

Ogni partecipante è stato sottoposto a una valutazione clinica approfondita, comprensiva di esame fisico, anamnesi sportiva e familiare, esami del sangue ed elettrocardiogramma a riposo. Al fine di rilevare le fibrosi miocardiche si è fatto uso dell’imaging al gadolinio, sostanza che si accumula nei tessuti danneggiati. Agli atleti è stato impiantato un loop recorder sottocutaneo, strumento che serviva a registrare gli episodi di tachiaritmia di almeno 8 battiti consecutivi sopra la soglia massima di frequenza cardiaca durante lo sforzo.

I risultati

Durante il follow-up, 23 atleti su 106 (21,7%) hanno manifestato almeno un episodio aritmico ventricolare. Di questi, tre hanno avuto tachicardie ventricolari sostenute (VT) e venti tachicardie non sostenute (NSVT). Tutti i casi di VT sostenuta si sono verificati in soggetti con fibrosi documentata. Inoltre, la maggior parte degli episodi aritmici ricorrenti è avvenuta in atleti con fibrosi (11 su 12).

Alla fine dello studio il 47,2% degli atleti ha presentato fibrosi miocardica focale non ischemica, localizzata prevalentemente nella parete inferolaterale basale del ventricolo sinistro. Questo tipo di fibrosi non è associato a ischemia ma sembrava essere legato a processi diversi, probabilmente di rimodellamento. Inoltre, gli sportivi con fibrosi non presentavano differenze significative in termini di funzione cardiaca, dimensioni ventricolari o flusso miocardico. Tuttavia, si è osservata una maggiore frequenza di PVC (battiti cardiaci che partono dal ventricolo in anticipo rispetto al ritmo normale) durante il test da sforzo negli atleti con fibrosi, e questi PVC mostravano caratteristiche più atipiche.

Fibrosi: causa o solo marcatore di patologie cardiache?

I risultati di questo studio dimostrano che la fibrosi miocardica non ischemica è altamente prevalente in atleti veterani di sport di resistenza e che rappresenta un importante predittore indipendente di aritmie ventricolari. L’associazione con aritmie era ancora più forte in presenza di episodi ricorrenti o sostenuti, rafforzando l’ipotesi che la fibrosi possa essere un substrato aritmogenico significativo, se non addirittura la causa diretta. Nonostante ciò, gli autori riconoscono che non è possibile stabilire con certezza se la fibrosi sia la causa dell’aritmia o solo un marcatore di una sottostante cardiomiopatia non diagnosticata, come una forma aritmogena del ventricolo sinistro. Alcuni atleti potrebbero, infatti, avere una predisposizione genetica alla dilatazione del ventricolo sinistro, portando a un quadro che ricorda la cardiomiopatia dilatativa.

I valori dei marker non hanno suggerito infiammazioni o miocarditi acute. Inoltre, il fatto che il gruppo atletico avesse un volume extracellulare inferiore rispetto ai controlli, indica che molte delle alterazioni osservate sono compatibili con un rimodellamento fisiologico piuttosto che una vera patologia. Anche la dilatazione del ventricolo sinistro e la presenza di PVC durante l’esercizio si sono rivelati predittori indipendenti di aritmia. Questo suggerisce la possibilità di costruire modelli di stratificazione del rischio che includano risonanza magnetica cardiovascolare e test da sforzo nei soggetti ad alto rischio, tenendo a mente che episodi come arresti cardiaci possono colpire qualunque soggetto anche molto giovane.

Gli stessi redattori della ricerca sottolineano le sue limitazioni e le ragioni per cui questa necessita di ulteriori approfondimenti. Lo studio ha un numero limitato di partecipanti e coinvolge un campione altamente selezionato di uomini bianchi europei over 50 ciclisti o triatleti. Di conseguenza, i risultati potrebbero non essere generalizzabili ad altri gruppi. Inoltre, i ricercatori non hanno eseguito un test genetico per cardiomiopatie latenti e il loop recorder non consentiva la localizzazione precisa delle aritmie.

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