Le origini del SARS-CoV-2 e il dibattito sugli studi Gain-of-Function

Potenziare i virus per studiarli meglio è una pratica scientificamente accettata, ma non prima di detrattori. E mentre manca ancora una regolamentazione accettata a livello globale diversi indizi e lacune lasciano aperta l’ipotesi dell’origine in laboratorio. L'articolo di Maurizio Ferri, medico veterinario esperto di malattie zoonotiche.
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La pandemia di COVID-19 ha sollevato e continua a sollevare numerose questioni che avranno un impatto sui futuri approcci epidemiologici e sperimentali alle zoonosi con potenziale pandemico. Uno dei dibattiti principali riguarda l’origine del virus SARS-CoV-2, con due ipotesi predominanti: quella naturale e quella della fuga dal laboratorio. Quest’ultima ipotesi rimanda agli studi di Gain-of-Function (GoF), o guadagno di funzione, che implicano la manipolazione genetica di organismi, spesso virus. Questi studi sono volti a valutare gli effetti dell’aumento di patogenicità, trasmissibilità, capacità di eludere il sistema immunitario o modifiche del range degli ospiti o tropismo.

Il controverso ruolo degli studi GoF

I sostenitori degli studi GoF ne sottolineano il potenziale per comprendere come un virus acquisisca la capacità di superare la barriera di specie o di diventare più letale. Questi studi potrebbero consentire agli scienziati di anticipare future minacce pandemiche e sviluppare vaccini e terapie. Ad esempio, studi GoF su virus influenzali hanno permesso di identificare mutazioni chiave associate all’aumentata trasmissibilità nei mammiferi, fornendo informazioni preziose per lo sviluppo di vaccini proattivi. Allo stesso modo, potrebbero contribuire allo sviluppo di contromisure terapeutiche mirate, anticipando i meccanismi con cui un patogeno potrebbe evolvere resistenza ai farmaci esistenti. 

D’altra parte, i detrattori sollevano preoccupazioni etiche e di biosicurezza riguardo al rischio di rilasciare accidentalmente o intenzionalmente agenti patogeni potenziati, con conseguenze potenzialmente catastrofiche per la salute pubblica globale. Il dibattito sugli studi GoF si è intensificato negli ultimi anni a seguito della pandemia di COVID-19 e delle discussioni sulle possibili origini del virus SARS-CoV-2. Le preoccupazioni riguardano in particolare i rischi legati a incidenti potenziali dovuti a errore umano o eventi imprevisti, che non possono essere completamente esclusi, con la potenziale fuga di microrganismi modificati nell’ambiente, anche in presenza di stringenti misure di biosicurezza. 

Il problema, dunque, rimanda alla mancanza di rigorose misure di biosicurezza, trasparenza e stretta supervisione etica. Ciò ha portato, negli USA, all’invocazione di una moratoria o di una significativa restrizione di tali studi, a seguito di diversi incidenti occorsi nel mondo che hanno coinvolto agenti patogeni gestiti in modo improprio nei laboratori nazionali.

La regolamentazione degli studi GoF negli USA

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Maurizio Ferri

Il Governo americano ha deciso di avviare nel 2017 una serie di iniziative per la proibizione o la regolamentazione degli studi GoF, con nuove regole per bloccare i finanziamenti alla ricerca su agenti patogeni, come l’influenza e i coronavirus, dato il loro potenziale di scatenare un’epidemia o una pandemia. Nello stesso anno, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (HHS) ha implementato un quadro di revisione per le proposte di esperimenti. Tuttavia, con l’arrivo della pandemia di COVID-19 nel 2022, l’azione ha subìto un ritardo e il dibattito si è interrotto bruscamente fino al 2024.

In quell’anno, l’Ufficio per le Politiche Scientifiche e Tecnologiche ha pubblicato una policy che delinea le modalità con cui le agenzie di finanziamento federali e gli istituti di ricerca devono esaminare e supervisionare gli esperimenti biologici su agenti patogeni che potrebbero essere utilizzati impropriamente o scatenare una pandemia. La politica, che entrerà in vigore a maggio 2025, raccomanda, ma non impone, che le organizzazioni non governative e il settore privato seguano le stesse regole.

L’origine della pandemia di COVID-19: un dibattito ancora aperto

Gli studi GoF sono strettamente legati al dibattito sull’origine della pandemia di COVID-19. Il 17 marzo 2020, la rivista Nature Medicine pubblicò l’articolo “The proximal origin of SARS-CoV-2”. Gli autori, valutando la sequenza del genoma di SARS-CoV-2, conclusero che l’ipotesi dell’origine di laboratorio (cioè che il virus fosse sfuggito dal laboratorio o che fosse stato manipolato intenzionalmente) non fosse uno scenario plausibile, propendendo per un’origine naturale. Questo articolo ha svolto un ruolo influente, anzi, centrale, nel comunicare la narrativa secondo cui la scienza aveva stabilito che SARS-CoV-2 aveva contagiato le persone attraverso lo spillover naturale. Dalla sua pubblicazione, è stato consultato online più di cinque milioni di volte e ampiamente citato dai media.

Le indagini del Congresso e le nuove rivelazioni

L’influenza del lavoro e le deliberazioni emerse, urgenti e riservate, legate al governo americano, hanno attirato l’attenzione del Congresso. Nel 2022 è stata istituita una Commissione bipartisan sulla pandemia di COVID-19, incaricata di esaminare se i funzionari governativi avessero ingiustamente e forse in modo parziale fatto pendere la bilancia verso la teoria dell’origine naturale e se l’integrità scientifica fosse stata ignorata a favore dell’opportunità politica, forse per nascondere o sminuire il rapporto del governo con l’Istituto di virologia di Wuhan o per evitare di incolpare la Cina per qualsiasi complicità nell’innesco della pandemia. 

Il 6 febbraio 2023, Biosafety, un’organizzazione non governativa, ha lanciato una petizione per chiedere alla rivista Nature di ritirare l’articolo “The proximal origin of SARS-CoV-2“, ritenuto un prodotto di frodi e cattiva condotta scientifica. È seguita un’altra petizione per proibire la ricerca GoF su potenziali agenti patogeni pandemici, ridurre il numero di laboratori di biocontenimento di alto livello e rafforzare la biosicurezza e la gestione del rischio biologico per la ricerca sui patogeni, al fine di prevenire future pandemie.

La Commissione bipartisan ha fissato la prima udienza a luglio del 2023, a cui hanno partecipato alcuni dei virologi autori dell’articolo, citati in giudizio, che hanno difeso con fermezza l’origine naturale del virus. Tuttavia, il Congresso è riuscito ad acquisire e pubblicare alcuni messaggi ed e-mail scambiati dagli stessi tramite il programma di messaggistica Slack, che mostrano, incontrovertibilmente, come gli stessi non credessero alle conclusioni del lavoro, sia all’inizio che dopo l’invio alla rivista Nature.

In privato, esprimevano preoccupazione per l’origine di laboratorio e soppesavano le implicazioni politiche e diplomatiche nel caso in cui la Cina avesse ricevuto accuse per la fuga del virus dal laboratorio.

Gli indizi a sostegno dell’origine di laboratorio

La teoria della fuga dal laboratorio è ora supportata da solide prove. Documenti più recenti ottenuti da U.S. Right to Know dimostrano che scienziati americani avevano pianificato di collaborare con l’Istituto di virologia di Wuhan per progettare nuovi coronavirus con le caratteristiche del SARS-CoV-2 l’anno prima dello scoppio della pandemia. Ciò avveniva nell’ambito della proposta di sovvenzione DEFUSE per la conduzione di esperimenti di ingegneria sui coronavirus, tra l’altro guidati da Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance – un’organizzazione internazionale no-profit dedicata all’approccio One Health per la prevenzione delle pandemie – ma anche membro principale del team di missione che l’OMS ha inviato in Cina per indagare sull’origine del SARS-CoV-2. 

L’ipotesi dell’origine dal laboratorio, all’inizio ritenuta un’eresia e ampiamente ostracizzata, è attualmente riconosciuta come un’ipotesi credibile. In sintesi, come documenta Richard Ebright, biologo molecolare statunitense, nella sua testimonianza orale depositata durante l’audizione al Senato americano, molteplici linee di evidenza forniscono le prove a supporto della sua valutazione sull’origine di laboratorio di SARS-CoV-2. In particolare, gli studi sull’inserimento di un sito di scissione della furina nella proteina Spike umana e il fatto che SARS-CoV-2 è l’unico tra gli oltre 800 virus SARS noti a possedere tale sito. Matematicamente, ciò, di per sé, implica che la probabilità di trovare un virus SARS naturale dotato di un sito di scissione della furina sia inferiore a 1 su 800. Ciò costituisce un caso estremamente forte – una “pistola fumante” – a favore dell’origine di laboratorio.

Le Valutazioni del SAGO sulle Origini del SARS-CoV-2

A novembre 2021, l’OMS ha istituito il SAGO (Scientific Advisory Group for the Origins of Novel Pathogens), un gruppo di 27 scienziati internazionali con gli obiettivi di indagare le origini del SARS-CoV-2 e di altri patogeni emergenti, definire un quadro per tali indagini e valutare le prove scientifiche disponibili. Il SAGO ha pubblicato le sue prime scoperte e raccomandazioni il 9 giugno 2022. In un rapporto più recente, datato 27 giugno 2025 e intitolato “Independent assessment of the origins of SARS-CoV-2”, vengono esaminate le valutazioni precedenti basandosi su pubblicazioni scientifiche, rapporti di intelligence, presentazioni e discussioni tra esperti.

Le 4 ipotesi

Le quattro ipotesi principali esaminate sono:

  • Origine zoonotica naturale: il virus è passato dagli animali all’uomo, direttamente o tramite un ospite intermedio.
  • Incidente di laboratorio: il virus ha infettato gli esseri umani a seguito di esposizione durante ricerche sul campo o a causa di una violazione delle procedure di biosicurezza.
  • Introduzione tramite catena del freddo: il virus è arrivato nei mercati animali tramite prodotti congelati e ha infettato gli umani.
  • Manipolazione deliberata in laboratorio: il virus è stato creato in laboratorio e successivamente è fuoriuscito

Escludendo l’ipotesi 3, non supportata da prove solide, il rapporto si concentra sulle altre. Per quanto riguarda l’ipotesi 2 di un incidente di laboratorio, SAGO lamenta la collaborazione del governo cinese che non ha fornito all’OMS o al SAGO informazioni cruciali per una valutazione completa.

Ipotesi origine in laboratorio: non confermata né confutata

Nello specifico, mancano dati che chiariscano se le prime infezioni umane siano legate a un incidente di ricerca (inclusi studi su precursori genetici del SARS-CoV-2) o a una violazione della biosicurezza. Mancano anche i dati sanitari del personale e la documentazione sulle pratiche di biosicurezza dei laboratori di Wuhan. Pertanto, questa ipotesi non può essere né esclusa né provata in modo definitivo.

Secondo il report, le testimonianze citate precedentemente – alcune delle quali fanno riferimento a studi GOF presso il laboratorio di Whuan, spesso supportate da organizzazioni non governative come US Right To Know, non forniscono ulteriori dati scientifici o basati sull’intelligence e non sono state incluse nella versione finale del documento.

In conlusione

In conclusione, sebbene l’origine zoonotica sia l’ipotesi più accreditata dai dati scientifici attuali, le origini precise del SARS-CoV-2 rimangono indeterminate in attesa di ulteriori informazioni e dati scientifici. Permangono significative lacune nei dati che impediscono al SAGO di stabilire con certezza come il SARS-CoV-2 sia inizialmente entrato nella popolazione umana.

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