Rossi (ASL Lecce): «La sanità sia digitale, ma anche domiciliare»

Carenza di personale e crescita della cronicità impongono un salto tecnologico: dalle piattaforme di teleconsulto alla laurea biomedicale
Carenza di personale e crescita della cronicità impongono un salto tecnologico: dalle piattaforme di teleconsulto alla laurea biomedicale

L’Azienda Sanitaria Locale di Lecce governa l’offerta di una provincia che ha un tasso di invecchiamento molto elevato. «Di conseguenza, per noi il tema della cronicità rappresenta una priorità da affrontare di petto» afferma il Dr. Stefano Rossi, Direttore Generale dell’Asl di Lecce. Ma non è l’unico: carenza di personale, innovazione digitale e assistenza domiciliare sono altre criticità da risolvere. Perciò, l’Asl leccese propone un approccio integrato che punta su tecnologia, territorio e formazione per affrontare le sfide del futuro. Specialmente di coloro che vivono situazioni di particolare difficoltà.

Dottor Rossi, come si inserisce la digitalizzazione nel quadro di complessità deve affrontare?

«A mio avviso, al di là degli evidenti benefici della digitalizzazione degli ospedali, è fondamentale che questo processo si integri con il tema, spesso trascurato, del potenziamento dell’assistenza domiciliare. È necessario digitalizzarla perché, come ci insegna il PNRR, la casa è il primo luogo di cura. Lavorare su queste tematiche è l’unica strada per una maggiore sostenibilità del sistema sanitario. Non avremo mai le risorse umane sufficienti per poter assistere a casa i tanti anziani sempre più cronici. Perciò, riuscire a creare un’infrastruttura digitale che consente di arrivare al letto del paziente a casa sua è la strada da battere».

«Da questo punto di vista dobbiamo mettere in campo il maggior sforzo possibile. A Lecce stiamo cercando di potenziare il servizio presso la casa circondariale, che è un tipo di assistenza domiciliare. Ricordo, infatti, che l’assistenza che noi rendiamo all’interno del carcere rientra nel tema distrettuale dell’assistenza domiciliare».

Come si può creare questa infrastruttura digitale in grado di entrare all’interno delle case dei pazienti?

«Per la casa circondariale l’AReSS, ovvero l’Agenzia Regionale per la Salute e il Sociale della Regione Puglia, ha disegnato una piattaforma digitale per potenziare l’offerta di servizi sanitari all’interno del carcere. In questo momento stiamo lavorando per finire di implementarla. Essere in grado di erogare quanti più servizi possibili da remoto è una necessità, nonostante ci sia una difficoltà oggettiva nella messa in atto di questa esternalizzazione. Questa è la vera sfida su cui siamo impegnati».

«Stiamo, inoltre, cercando di facilitare i consulti che possono essere resi dai medici che lavorano nei nostri ambulatori senza obbligare i ristretti a uscire dal carcere e viceversa. La carenza di personale, ovviamente, non ci facilita in questo compito. Per fare un altro esempio legato a questo punto, facciamo molta fatica ad attivare le ore di specialistica ambulatoriale all’interno del carcere. Stiamo partendo dalle prestazioni che si prestano di più a essere refertate da remoto e sul potenziamento del teleconsulto. Testare all’interno del carcere è un modo efficace di provare ciò che possiamo poi spostare all’interno della casa di ciascuno di noi, anche perché si tratta di un ambiente abbastanza complesso. Basti pensare alla tematica della privacy, che è ancora più delicata in questo contesto».

Oltre a questo sforzo di digitalizzazione ed esternalizzazione, qual è la visione strategica della sua ASL per i prossimi 3-5 anni?

«Stiamo completando il percorso di attivazione e di completamento del corso di laurea in medicina, un corso di laurea media tech. Questo significa che è orientato alla padronanza delle nuove tecnologie da parte degli alunni. Al momento stiamo reclutando i docenti delle discipline, che saranno successivamente integrati nelle attività formative dei reparti ospedalieri. Una peculiarità di questo corso di laurea è che gli studenti con pochi esami di differenza possono prendere anche la laurea in ingegneria biomedica. Si tratta di un’innovazione che darà nuova linfa anche l’attività clinica, ne sono convinto».

«Inoltre, da quattro anni realizziamo la Notte della Ricerca Biomedica, un evento dove ci sono segmenti realizzati con la collaborazione dei nostri clinici e dei docenti universitari. La prossima edizione è prevista per venerdì 26 settembre. Facciamo partecipare alla Notte anche gli studenti dei licei a copertura biomedica, proprio perché siamo convinti che il tema della ricerca e dell’utilizzo delle nuove tecnologie parta già dai ragazzi. È questa la sfida che aiuterà il servizio sanitario a essere sostenibile e per questo motivo, sempre per i ragazzi, organizziamo una winter e una summer school. Facciamo conoscere ai giovani le maggiori innovazioni tecnologiche che caratterizzano l’offerta sanitaria, il che, tra l’altro, è anche ciò che li affascina di più».

Il programma dell’edizione 2025

«Infine, credo che dobbiamo compattare l’offerta ospedaliera perché questa è troppo ipertrofica e soprattutto non sostenibile con i pochi medici che abbiamo. La questione si intreccia con la programmazione oserei dire politica, perché il tema della dell’ottimizzazione ospedaliera finisce per incidere sul consenso e questo, ovviamente, non aiuta mai in un paese come il nostro dove le cadenze elettorali, purtroppo, sono sempre più frequenti. Nonostante ciò, la rete ospedaliera che va necessariamente ottimizzata, ad esempio evitando gli ospedali gemelli».

Una delle finalità di questo corso di laurea è quelli di risolvere la problematica della carenza di personale, ma da solo non può bastare. Cos’altro può essere utile per superare questa sfida?

«Si può contribuire a sciogliere questo nodo con il task shifting: la pratica, già in vigore in altri paesi europei come quelli anglosassoni, prevede che l’infermiere debba ampliare le proprie competenze. Significa avere infermieri specializzati, cosa che noi purtroppo non abbiamo. A seguito della laurea triennale in scienze infermieristiche e la laurea magistrale, si rimane un infermiere generico. Invece, a mio avviso la magistrale andrebbe già impostata come completamento specialistico e quindi avere un infermiere cardiologico, uno neuro-degenerativo e così via. Con questa riforma a costo zero si accrescerebbero le competenze degli infermieri aiutando così a compensare la carenza di medici specialistici».

La sala ibrida è una delle tecnologie che state utilizzando per sostenibile il sistema sanitario.

«Sì, su queste infrastrutture digitali ci si può collegare in video e avere un teleconsulto con il medico ambulatoriale senza che questo debba necessariamente recarsi in loco. Il tutto viene seguito dal nostro presidio medico all’interno della casa circondariale in una situazione di sicurezza. Quest’ultimo è un dettaglio da non trascurare visto che leggiamo sempre più spesso ormai di attacchi hacker in cui i dati vengono rubati. Oggi è sempre più difficile riuscire a costruire delle reti capaci di difendersi da queste aggressioni digitali».

«Se possibile, vista l’occasione, mi preme sottolineare il tema delle case circondariali, che sta esplodendo in tutta Italia essendo sempre più sovraffollate. Questo determina una maggiore fragilità per i ristretti, che già per ovvi motivi vivono una situazione di vulnerabilità. A cascata, ne risente il loro stato di salute, che va comunque garantito nonostante la carenza di risorse. Di conseguenza, consiglierei alle aziende del settore di concentrare in tal senso i loro sforzi invece di cercare di produrre piccoli strumenti per mercati già saturi. Nonostante sia visto quasi come negletto, questo settore a mio avviso dovrebbe diventare sempre più centrale».

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di Arrigo Bellelli
22 Settembre, 2025

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