L’iniziativa, il cui fine è quello di sviluppare la partecipazione attiva della società civile nel miglioramento dei servizi di cure palliative e palliative pediatriche in Italia, è attuata in collaborazione con la Società Italiana di Cure Palliative. Abbiamo raggiunto Tania Piccione, Presidente della Federazione Cure Palliative, per farci illustrare questo progetto.
In cosa consiste il vostro progetto della Commissione Italiana dei Cittadini per le Cure Palliative?
«L’obiettivo del nostro progetto è quello di interessare la società civile, per riflettere insieme su temi complessi e spesso divisivi legati al fine vita, come i diritti assistenziali, le cure palliative pediatriche, le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e l’accesso alle cure. Vogliamo dare voce ai bisogni, alle fragilità e alle scelte di senso che attraversano le nostre comunità, costruire proposte concrete da presentare alle istituzioni, e rafforzare la cultura delle cure palliative in Italia. Perché su questi temi, troppo spesso trattati solo a livello politico o ideologico, è tempo di ascoltare davvero i cittadini. L’obiettivo finale è quindi duplice: rafforzare la cultura delle cure palliative nella società italiana e dare ai cittadini un ruolo attivo nelle scelte che riguardano la qualità della vita, fino alla fine della vita».
Come avete strutturato le attività della Commissione?
«Abbiamo strutturato la Commissione Italiana dei Cittadini per le Cure Palliative su due livelli operativi complementari. Da una parte c’è la Consulta dei Cittadini, composta da persone con esperienza diretta di malattia, familiari, operatori sanitari e sociali, volontari, studenti e cittadini interessati: un gruppo eterogeneo e motivato, che rappresenta la pluralità della società civile. Dall’altra parte, c’è un pool di esperti, una ventina di professionisti di diversi ambiti, che ha il compito di garantire la coerenza metodologica, facilitare il percorso e curare il dialogo con le istituzioni».
«Le attività della Consulta si svolgono principalmente da remoto, per permettere la partecipazione di persone da tutto il territorio nazionale. Abbiamo già definito un calendario di incontri periodici, con una frequenza variabile, durante i quali ogni assemblea affronta una specifica tematica attraverso un confronto autentico, libero da condizionamenti. Ogni gruppo ha un coordinatore eletto dai partecipanti e un facilitatore messo a disposizione dalla Federazione per supportare il lavoro. L’obiettivo è arrivare, entro aprile prossimo, alla redazione di un documento di posizionamento, che raccolga le istanze e le proposte dei cittadini, da presentare alle istituzioni e ai media come contributo concreto alla discussione pubblica su questi temi fondamentali. La risposta è stata finora molto positiva: oltre 180 cittadini hanno già aderito con entusiasmo e forte desiderio di partecipare. Le iscrizioni sono ancora aperte, ma lo resteranno ancora per poco, per garantire la necessaria continuità e coerenza del percorso».
Com’è nata l’idea di quest’iniziativa e quali sono, se ne avete previste, le attività sul territorio?
«L’idea della Commissione Italiana dei Cittadini per le Cure Palliative nasce dalla volontà della Federazione Cure Palliative di dare concretezza ai propri obiettivi strategici: promuovere una maggiore informazione e sensibilizzazione sul tema delle cure palliative, coinvolgendo direttamente la cittadinanza in un percorso di confronto, ascolto e proposta. Ci siamo ispirati all’esperienza francese della Convenzione dei cittadini sul fine vita, un modello di partecipazione democratica deliberativa promosso dal governo e basato sull’estrazione casuale dei partecipanti. Noi abbiamo scelto un approccio diverso, bottom-up, che parte dalla società civile e dal terzo settore: la nostra Commissione nasce dalla spinta delle associazioni che animano la Federazione e si rivolge a cittadini che, in modo volontario e consapevole, scelgono di dare il proprio contributo alla riflessione pubblica su temi fondamentali come la malattia, il dolore, il fine vita e i diritti delle persone».
«Per quanto riguarda le attività sul territorio, come dicevo il progetto si svolgerà prevalentemente in modalità digitale, per garantire l’inclusione e la partecipazione da ogni parte d’Italia. Tuttavia, stiamo valutando la possibilità di organizzare incontri in presenza nelle fasi conclusive, anche in collaborazione con gli enti aderenti alla Federazione, per restituire pubblicamente i risultati e coinvolgere ulteriori soggetti locali – amministrazioni, scuole, associazioni, comunità».
Come si possono sviluppare le cure palliative e i loro utilizzi in Italia?
«Le cure palliative in Italia sono riconosciute dalla legge come un diritto fondamentale, ma il loro sviluppo sul territorio è ancora molto disomogeneo. A fronte di un fabbisogno elevato (si calcola che 590.000 persone adulte e 35.000 minori ne hanno bisogno) solo una parte limitata della popolazione riesce ad accedervi: un solo adulto su 3 e un minore su 4. Per sviluppare realmente le cure palliative nel nostro Paese occorre rafforzare le reti assistenziali in modo uniforme, investire nella formazione e nell’inserimento di professionisti, approvare un sistema tariffario equo per i servizi e valorizzare il ruolo fondamentale del Terzo Settore, che già oggi fornisce una parte consistente dell’assistenza. Serve inoltre una grande operazione di sensibilizzazione culturale, perché solo con il coinvolgimento consapevole della società e delle istituzioni sarà possibile garantire un accesso tempestivo e dignitoso a tutti coloro che ne hanno bisogno».
Quindi quali sono i principali ostacoli per l’erogazione delle cure palliative?
«I principali ostacoli all’erogazione delle cure palliative in Italia riguardano diversi livelli. Innanzitutto, c’è una carenza significativa di personale specializzato, con un numero insufficiente di medici palliativisti e infermieri rispetto al fabbisogno reale. A questo si aggiunge una forte disomogeneità territoriale: alcune regioni sono ben organizzate, mentre altre, soprattutto nel Sud, faticano a garantire un accesso adeguato. Le reti di cure palliative sono spesso incomplete: il nodo ospedaliero è poco sviluppato, l’assistenza domiciliare è discontinua e mancano posti letto negli hospice».
«Le cure palliative vengono inoltre attivate troppo tardi, spesso solo negli ultimi giorni di vita, anche a causa di una scarsa conoscenza da parte dei medici e di una percezione distorta da parte della popolazione, che le associa esclusivamente alla fase terminale. Un altro ostacolo è l’assenza di un sistema tariffario nazionale omogeneo, che penalizza le strutture e genera disuguaglianze tra le regioni. Infine, pesa una carenza di informazione e cultura sulle cure palliative, sia tra i cittadini sia tra i professionisti, che limita l’accesso e il riconoscimento dei bisogni».
Cosa significa per un paziente non riuscire ad accedere alle cure palliative?
«Non riuscire ad accedere alle cure palliative per un paziente significa, prima di tutto, vedersi negato un diritto fondamentale: l’accesso a queste cure è sancito dalla Legge 38/2010 ed è incluso nei Livelli Essenziali di Assistenza, quindi dovrebbe essere garantito a tutti, indipendentemente da dove vivono o dalla loro condizione. Ma significa anche affrontare la fase finale della vita senza un adeguato supporto clinico, psicologico, sociale e spirituale, spesso in condizioni di sofferenza evitabile e con un carico enorme per le famiglie. In Italia, il 46% delle persone muore in ospedale, ma la maggior parte preferirebbe morire a casa: negare le cure palliative vuol dire non rispettare il desiderio dei pazienti di trascorrere gli ultimi istanti nel proprio ambiente, circondati dai propri cari. Significa anche non riconoscere il valore della vita fino all’ultimo momento».
Quali sono le esigenze più frequenti che esprimono i parenti dei pazienti?
«Le esigenze più frequenti espresse dai familiari dei pazienti riguardano innanzitutto la possibilità di stare accanto ai propri cari fino alla fine, in un ambiente che permetta una presenza affettuosa, continua e rispettosa. Chiedono che il dolore fisico sia gestito con competenza e che venga dato supporto per affrontare la sofferenza psicologica e spirituale, sia del paziente che della famiglia stessa. Spesso si rivolgono ai team di cure palliative anche per ricevere orientamento pratico, perché vivere la malattia di un proprio caro significa portare un carico complesso, che da soli non si riesce a sostenere».
E i professionisti sanitari?
«La carenza di personale specializzato in cure palliative è un’emergenza silenziosa: oggi in Italia mancano circa la metà dei medici e oltre il 60% degli infermieri necessari per rispondere adeguatamente al bisogno reale. La situazione è ancora più critica nel setting domiciliare, dove le équipe sono spesso sottodimensionate o assenti. Questo non solo compromette la qualità dell’assistenza, ma genera un forte stress nei professionisti, che si trovano a dover garantire cure complesse in condizioni non sostenibili. Chi lavora in questo ambito sa quanto siano essenziali tempo, ascolto e continuità nella relazione di cura: senza un adeguato supporto del sistema, anche il loro impegno rischia di non bastare. Per questo vogliamo sollecitare le istituzioni a intervenire con decisione, rafforzando le reti, investendo nella formazione e garantendo condizioni di lavoro che permettano ai professionisti di offrire cure palliative di alta qualità, ovunque e per tutti».
Eppure, da oltre 7 anni manca un aggiornamento al Parlamento (e ai cittadini) sulla legge 38/2010, proprio mentre le Camere discutono il fine vita. L’ultima Relazione sull’attuazione è stata trasmessa solo a gennaio 2019 e si riferisce al triennio 2015–2017, nonostante la norma preveda una cadenza annuale.
Quali sono le frontiere della ricerca riguardo le cure palliative attualmente?
«Attualmente, la ricerca in cure palliative rappresenta una frontiera ancora poco esplorata, ma fondamentale per il futuro della disciplina. È un settore da implementare e sostenere con forza, perché senza ricerca non è possibile migliorare la qualità delle cure, validare pratiche cliniche efficaci, innovare i modelli assistenziali e rispondere in modo appropriato e personalizzato ai bisogni complessi delle persone malate e delle loro famiglie. La ricerca scientifica è ciò che trasforma l’esperienza in conoscenza condivisa, che rende visibile l’impatto delle cure palliative sulla vita delle persone e che permette alla disciplina di evolvere con rigore, credibilità e autorevolezza nel panorama sanitario e accademico».
Qual è l’appello che vuole lanciare in quanto Presidente della Federazione di Cure Palliative?
«Il nostro appello è molto semplice e al tempo stesso urgente: mettere tutte le regioni nelle condizioni concrete di sviluppare e garantire le cure palliative, in modo equo e omogeneo, da Bolzano a Lampedusa. Questo significa garantire un diritto esigibile, ovunque e per chiunque, indipendentemente dall’età, dalla patologia o dal luogo di residenza. Dove le cure palliative non sono accessibili, viene meno anche la possibilità di scegliere, di autodeterminarsi, di essere curati nel rispetto della propria dignità e delle proprie volontà. È un tema di civiltà e giustizia: chiediamo che le cure palliative diventino una priorità reale nelle agende politiche regionali e nazionali, con investimenti concreti, percorsi chiari e il pieno coinvolgimento della società civile».