Tra etica e innovazione: la sfida dell’umanizzazione delle cure

Dal rispetto della persona alla trasformazione dei servizi, il convegno rilancia una cultura capace di unire tecnica e sensibilità
Dal rispetto della persona alla trasformazione dei servizi, il convegno rilancia una cultura capace di unire tecnica e sensibilità

Gran successo per il convegno “Umanizzazione delle Cure: Etica, Deontologia e Centralità della Persona in Sanità”, tenutosi ieri presso la Sala della Lupa di Montecitorio. L’evento ha riunito voci istituzionali, accademiche e religiose per affrontare il tema cruciale del prendersi cura in un contesto sanitario complesso e tecnologizzato. Come ha ricordato l’On. Giovanna Miele, Membro della VII Commissione alla Camera dei Deputati, «dobbiamo tornare a poterci fidare» e per farlo è necessario rimettere la persona al centro. L’incontro ha mostrato la volontà di costruire un nuovo umanesimo della salute, dove si intrecciano professionalità e sensibilità, scienza ed etica.

La persona al centro

L’idea che la sanità debba rimettere la persona al centro è stata ribadita da più voci durante il convegno. Il Dott. Vincenzo La Regina, Presidente INNEL, ha parlato di «forgiatura di un pensiero nuovo, di una prospettiva culturale ed etica. Se si perde l’umanità perdiamo efficacia e non riusciamo a curare». In queste parole si avverte un appello a considerare la salute come una dimensione che non riguarda solo l’efficienza del sistema, ma anche la capacità di costruire fiducia e relazione. La sua visione è quella di un «nuovo umanesimo della salute» con valore universale.

Il Dott. Paolo Petralia, Vice Presidente Vicario FIASO, ha rafforzato questo approccio sottolineando la distinzione tra “persona” e “paziente”. «Dire che al centro c’è la persona – ha spiegato – significa superare una visione riduttiva. La medicina di comunità e le case della comunità vanno proprio in questa direzione». La differenza non è meramente linguistica: rappresenta un cambio di paradigma. Non si tratta più solo di curare sintomi, ma di garantire una relazione autentica di cura. Petralia ha anche denunciato la frammentazione contrattuale che colpisce i medici, sottolineando come la diversità di inquadramenti crei ostacoli a un lavoro armonico. «Se non mettiamo i professionisti nelle condizioni di lavorare insieme – ha detto – perdiamo coesione e quindi efficienza».

In questo quadro, l’etica assume il significato di domanda critica: non “fare il bene” in modo paternalistico, ma interrogarsi su quale sia la risposta più efficace per ogni situazione concreta.

L’On. Giovanna Miele, Membro della VII Commissione alla Camera dei Deputati, ha parlato del bisogno di ricostruire fiducia. «Il Covid ci ha insegnato quanto sia difficile affrontare le difficoltà da soli. È per questo motivo che ora sta diventando centrale il tema dei caregiver», ha dichiarato, aggiungendo che «non sta alle persone, ma al sistema trovare la soluzione». La fiducia, quindi, non è solo un sentimento privato: diventa parte della responsabilità collettiva.

Tecnologia e umanesimo

Il rapporto tra tecnologia e umanizzazione è stato un tema ricorrente. Il Prof. Umberto Moscato, Università Cattolica del Sacro Cuore, ha introdotto la sua riflessione con un’affermazione forte: «l’algoritmo del futuro è fatto da tempo, spazio e persona». Questo significa che nessun progresso tecnico può sostituire l’attenzione verso chi ha bisogno, perché a loro è destinato lo sforzo sanitario: «nel momento in cui chiedo una visita, facciamo un buon lavoro se questa è certa, di qualità e avviene in tempi brevi».

Moscato ha denunciato la centralità eccessiva degli ospedali: «molto è stato costruito su un sistema ospedalocentrico, ma dare empowerment alla persona è il futuro». La sua analisi mostra come le risorse, pur consistenti, producano spesso pochi effetti reali. La spiegazione è nel disequilibrio tra mezzi e obiettivi. Se il fine resta il bilancio economico, allora la salute non è più considerata un investimento per la società. Il Dott. Moscato auspica la trasformazione della “sala d’attesa” in “sala d’accoglienza”: «quello è uno spazio che deve essere del paziente e dei suoi parenti, non solo una zona di passaggio». In questa semplice immagine si racchiude un cambiamento di prospettiva: l’ambiente sanitario non deve trasmettere freddezza, ma senso di appartenenza.

La tecnologia stessa può diventare uno strumento di umanizzazione se accompagnata da etica e sensibilità: «possiamo gestirla in modo umano ed etico o essere gestiti da essa», ha aggiunto concludendo il suo intervento.

Etica, estetica e dignità

Il tema estetico è stato utilizzato come esempio nel dibattito sulla salute. La riflessione sull’estetica apre a un terreno delicato. Da un lato, c’è il rischio di mercificazione, mentre dall’altro, il riconoscimento che la percezione di sé ha effetti concreti sulla salute. L’On. Giovanna Miele ha ricordato che «è importante rilevare il bisogno di sentirsi bene con sé stessi» e invitato la politica a discutere apertamente di oncologia estetica, riconoscendo che l’immagine corporea non è un dettaglio marginale. Il nuovo approccio alla sanità deve allargare l’orizzonte della cura, includendo benessere mentale e dignità personale. Concorda con Miele il Dott. Giorgio Asquini, Presidente nazionale Confimea Sanità, che ha inoltre ammonito: «La sanità non è un giocattolo e il medico non può diventare imprenditore». Per Asquini, la cura deve lasciare logiche assicurative o alle coperture finanziarie e tornare a guardare al bisogno del paziente.

Questa attenzione alla dignità è strettamente legata all’etica della cura. Come ha ricordato il Dott. Salvatore Amato, Consigliere e responsabile Area Esteri FNOMCeO, «il miglior paradigma è unire conoscenza antica, conoscenza classica e sensibilità odierna». L’integrazione di tradizione e modernità consente di leggere la cura in modo più ampio, senza ridurla a un intervento tecnico. L’etica non riguarda solo grandi decisioni mediche ma anche le piccole scelte quotidiane. Riconoscere l’importanza dell’estetica significa offrire strumenti per restituire dignità a chi affronta malattie che intaccano il corpo e la psiche. E soprattutto, significa affermare che la salute è davvero un diritto universale, non parziale.

Il Dott. Salvatore Latino, Presidente di Longaevitas e presente nella platea, ha particolarmente apprezzato questi spunti: «seguendo questo cambio di paradigma la medicina si avvicinerà sempre più ai reali bisogni delle persone, diventando più inclusiva, sostenibile e profondamente umana». Seguendo questa direzione, la sua associazione di promozione sociale ha avviato una proposta di legge di iniziativa popolare che chiede l’introduzione dell’insegnamento dell’educazione alimentare, degli stili di vita sani e della sostenibilità ambientale nelle scuole italiane offre un contributo significativo all’umanizzazione della medicina. «Educare fin da giovani a prendersi cura della propria salute e dell’ambiente significa promuovere una medicina più preventiva, etica e centrata sulla persona. È necessario rafforza il legame tra salute individuale e collettiva, stimola comportamenti responsabili e consapevoli e contribuisce a ridurre le disuguaglianze sociali» ha concluso.

Formazione e nuove prospettive

La formazione è emersa come condizione indispensabile per costruire una sanità umanizzata. Formare significa costruire professionisti consapevoli di essere parte di un sistema complesso. La loro missione non è solo curare, ma prendersi cura. È questa la vera frontiera che distingue una sanità tecnocratica da una sanità umanizzata.

Il Dott. Salvatore Amato ha insistito su questo punto: «dobbiamo cominciare dalle università per formare i professionisti alla sanità del futuro». Ha sottolineato l’assenza, in Italia, di un legame strutturato tra medicina, filosofia ed etica. «In America si parla anche di filosofia ed etica, da noi manca questa componente», ha aggiunto. Il Prof. Moscato ha ampliato il discorso ricordando che «la formazione deve essere continua e non smette dopo l’esame». Ha proposto un’estensione che coinvolga anche i pazienti: «Non solo i medici, ma anche parenti e malati devono essere preparati». L’idea è quella di creare una comunità più consapevole, dove la conoscenza diventa parte della cura stessa.

La formazione, inoltre, è vista come antidoto al rischio di ridurre la sanità a un settore tecnico. Il Dott. Paolo Petralia ha denunciato la presenza di figure professionali ibride, come i biomedici, che rischiano di non avere né le competenze mediche né quelle ingegneristiche complete. Tuttavia, è concorde con il resto dei relatori nel dire che una formazione etica sia essenziale, «altrimenti è giocare senza conoscere le regole» ha detto. Per questo la formazione deve includere antropologia, filosofia e discipline umanistiche.

Una visione universale

Il convegno si è chiuso con l’intervento di Mons. Hilary Franco, Consigliere presso la Missione Permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite. Ha sintetizzato il messaggio in quattro parole: «Umanità, Unità, Universalità, Urgenza. L’Umanità è il nostro minimo comun denominatore: se ci togliessimo i vestiti saremmo tutti nudi allo stesso modo». Il suo invito è a custodire ciò che ci rende essenzialmente uguali. L’Unità è il secondo pilastro: «non possiamo risolvere nessun problema se non siamo uniti». In un tempo segnato da crisi sanitarie e sociali, la frammentazione rischia di rendere inefficaci anche i migliori progetti. Solo una collaborazione tra istituzioni, professionisti e cittadini può produrre cambiamenti reali. Questa visione richiama la necessità di costruire ponti piuttosto che muri.

La terza parola, Universalità, richiama la dimensione planetaria della salute. Franco ha ricordato che «non possiamo essere isolati, apparteniamo a un pezzo di roccia con un po’ d’acqua che orbita attorno a una stella di media grandezza». L’immagine cosmica serve a relativizzare i nostri problemi, ma anche a sottolineare la responsabilità collettiva verso un bene comune globale. Infine, l’Urgenza. «Il tempo è ora, non possiamo più permetterci di aspettare», ha detto il Monsignore. Non è un invito all’ansia, ma un’esortazione a trasformare subito i valori discussi in azioni concrete. Infine, il Mons. Ha concluso il suo intervento richiamando Cicerone: «la storia è maestra di vita: cogliamo il suo messaggio e agiamo di conseguenza. Possiamo fare la differenza per il mondo di domani, la posterità ci ringrazierà».

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di Arrigo Bellelli
1 Ottobre, 2025

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