Le Asl territoriali devono saper rispondere alle esigenze dei cittadini e per farlo devono integrare l’innovazione in un contesto di ristrettezze economiche. Tutto ciò richiede un cambiamento culturale, tecnologico e organizzativo, coinvolgendo direttamente operatori sanitari e cittadini. È questa la sfida dell’Azienda Sanitaria Locale Toscana Sud-Est, un’Asl molto attiva che copre il 51% della Regione, impiega circa 10.000 persone. «Abbiamo attivato un percorso di partecipazione rispetto alle sfide che si trova ad affrontare un’azienda come la nostra – afferma Marco Torre, Direttore Generale dell’Asl – finalizzato ad accendere la cosiddetta sanità territoriale».
Quali sono le criticità che impediscono di attivare la sanità territoriale?
«Abbiamo tanti problemi da affrontare, in primis la scarsità di risorse (specialmente rispetto ai compiti che dobbiamo svolgere) e la necessità di governare un’innovazione tecnologica fortissima, che da una parte impone di stare al passo coi tempi e dall’altra costa anche tanto. Quando parlo di innovazione tecnologica mi riferisco sia all’ambito dei farmaci che a quello dei dispositivi medici, senza ovviamente dimenticare processo di digitalizzazione».
«Abbiamo, nonostante ciò, tante opportunità che sono frutto in gran parte, a mio avviso, del PNRR. Non parlo solamente delle strutture come le case e gli ospedali di comunità, ma soprattutto dell’ecosistema digitale, perché in Toscana dal 2026 saranno a pieno regime una cartella digitale unica per tutti gli ospedali toscani e una piattaforma unica per il teleconsulto. Inoltre, le Centrali Operative Territoriali diventeranno completamente informatizzate e quindi avremo la possibilità, in linea teorica, di connettere sia la rete ospedaliera sia la rete territoriale, anche tra di loro. Il tutto coinvolgendo nel processo anche i medici di medicina generale».
Prima dell’introduzione di questa cartella unica come era atomizzato il processo di presa in carico del paziente?
«La Regione con questa cartella digitale fa un salto quantico, perché fino ad ora in Toscana le diverse strutture sanitarie non avevano sistemi uniformi in termini di standard e livello di digitalizzazione. Fra poco, invece, la Regione avrà un’unica cartella clinica digitale conforme agli ultimi standard, compreso lo standard EMRAM. Grazie a questa innovazione i professionisti sanitari toscani potranno ruotare all’interno delle strutture, come in realtà già avviene quotidianamente ma ritrovandosi a lavorare sempre con lo stesso strumento».
«Di lato la cartella unica digitale avrà un impatto positivo anche sul rischio clinico, riducendolo. Ma, al di là di quello, permetterà una vera condivisione delle informazioni. Per capirci: la cardiologia di Grosseto e quella di Arezzo potranno non solo condividere in tempo reale le informazioni cliniche dei pazienti e le competenze professionali ma anche avviare un processo di benchmark reciproco, sia di natura amministrativa sia di natura sanitaria, consentendo di migliorare l’appropriatezza clinica».
Prima ha parlato di un percorso di partecipazione necessario per implementare la sanità territoriale: in cosa consiste?
«Abbiamo avviato questo grande percorso di partecipazione interrogando direttamente il nostro personale. Ci siamo mossi così perché, se da una parte la trasformazione digitale è fondamentale, dall’altra dobbiamo mettere al centro un nuovo modello organizzativo guidato dal dato. Significa far convergere tutte le informazioni cliniche in un’unica struttura che gestisca il dato e lo renda disponibile alle persone. Il dato deve trasformare l’informazione e alimentare il processo decisionale, basato sul valore: è così che si attiva la cosiddetta Value Based Health-Care (VBHC). Questa call to action rivolta a tutti i nostri dipendenti si chiuderà intorno a ottobre e sarà la base sulla quale costruiremo poi il nostro piano strategico. È un processo necessario perché le innovazioni che stiamo introducendo sono un’opportunità, ma non basta semplicemente digitalizzare quello che prima era analogico. La tecnologia deve consentirci di rivedere il processo lavorativo per permetterci di capire come poter impattare sull’attività clinica».
«Un ulteriore tema è quello di introdurre strumenti che ci consentano di focalizzare le limitate risorse a nostra disposizione. Il nostro bilancio è di circa 1,8 miliardi di euro: sono risorse assolutamente insufficienti rispetto a quello che dobbiamo fare, alle aspettative dei nostri pazienti e alle nuove opportunità di cura che le ultime tecnologie ci mettono a disposizione, aumentando la nostra capacità di risposta e quindi anche la domanda di cura da parte dei cittadini».
Cos’è la VBHC?
«La VBHC che abbiamo adottato è un vero e proprio approccio filosofico-culturale, per cui l’azienda deve eliminare ogni “spreco” e concentrarsi laddove si crea valore. Per farlo, oltre ai nostri professionisti dobbiamo coinvolgere anche i pazienti. Spesso, infatti, ci troviamo anche a fare delle prestazioni super costose in termini di valore, laddove non sono così percepite da parte dei pazienti. Di conseguenza, il nostro mantra è: tecnologie, persone, governo del dato con un modello organizzativo basato sulla VBHC.
«A tutto ciò si collega il tema della spesa farmaceutica che continua ad aumentare, nonostante tutte le azioni di appropriatezza e impegno che mettiamo in atto. L’incremento dei costi da una parte è, paradossalmente, un segnale positivo perché le innovazioni terapeutiche in questo caso sono veramente rivoluzionarie. Dall’altro, tuttavia, impone una responsabilizzazione ancora maggiore per chi prescrive questi trattamenti».
L’innovazione digitale è l’unico ingrediente per attivare la VBHC?
«Assolutamente no. Un altro aspetto che non è digitale ma, secondo me, necessario è quello di rivedere le strutture fortemente gerarchiche tipiche del sistema sanitario, solitamente disegnate a silos. Le vecchie specialità come cardiologia, chirurgia etc. non sono più attuali in un contesto sanitario come quello attuale, così fortemente in evoluzione e attraversato da importanti innovazioni tecnologiche. Abbiamo bisogno di un approccio molto meno gerarchico, che deleghi anche alle prime linee l’esercizio della leadership. Per questo motivo la nostra Asl adotterà un modello di leadership adattiva, che è una metodologia sviluppata negli Stati Uniti».
«Lo facciamo perché il processo decisionale deve svilupparsi a partire dalle persone che hanno un contatto diretto con i pazienti. Questo approccio della leadership adattiva si sposa appieno con la VBHC, perché in entrambe ogni singola azione deve essere orientata alla creazione di valore. Queste decisioni, però, non possono essere agite da chi è distante dalla conoscenza e dal processo decisionale e operativo, ma devono essere attuate appunto da chi è in prima linea: dall’infermiere fino all’Oss, il quale magari non si rende conto dell’importanza delle sue azioni quotidiane rispetto, per esempio, alla sostenibilità della spesa».
Qual è un esempio di VBHC che state mettendo in atto?
«Ve ne presento uno legato al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, per il quale ci ritroviamo ad avere cittadini sempre più anziani e sempre più fragili. Noi, tra l’altro, siamo l’Asl con l’indice di vecchiaia più alto della Toscana, una delle regioni con l’indice di vecchiaia più alto». Per dare una risposta questo tema, ad esempio, a fine 2024 sono partiti i lavori dell’Asl per costruire un nuovo Hospice ad Arezzo.
«Lo scompenso cardiaco è una delle principali patologie croniche che dobbiamo affrontare. Abbiamo perciò avviato un progetto che prevede una continua presa in carico del paziente. Questa, infatti, non si limita solo un momento di cura in ospedale, ma comprende anche il momento in cui paziente si reca in ospedale e quello in cui sta a casa. In questo caso la tecnologia utilizzata è stata di ecografie portatili, che non consentono di fare una vera e propria ecografia ma di dare delle prime informazioni al medico così da permettergli di decidere l’eventuale mantenimento del paziente a domicilio, di effettuare ulteriori esami specialistici o il ricovero».
«Dal 2026 avremo a pieno regime tutte queste innovazioni e anche una nuova piattaforma di teleconsulto e telemedicina che stiamo implementando da luglio. Siamo ancora nella fase di pianificazione dell’architettura tecnologica. L’intero processo ci consentirà di disegnare e attuare un percorso clinico basato sulla VBHC. In questo modo saremo in grado non solo di digitalizzare il processo di cura, ma di cambiare radicalmente la pratica di lavoro dei nostri operatori e avere così un impatto sulla qualità di vita dei pazienti e sulla loro aspettativa di vita».
